Sanders in difesa: «La vecchia politica non batterà Trump»
L’appello dei suoi agli elettori della Warren
SPRINGFIELD (VIRGINIA) Dentro il centro sportivo, la deputata Ilhan Omar ha già cominciato a parlare. Fuori ci sono ancora duecento metri di coda. Sono le quattro di sabato pomeriggio, 29 febbraio, a Springfield, piccolo centro della Virginia non distante da Washington. Almeno cinquemila persone sono venute ad ascoltare Bernie Sanders. Domani si vota anche in questo Stato e il senatore del Vermont resta il favorito del Super Tuesday, nonostante oggi non sia una buona giornata. Dal South Carolina arrivano i primi segnali: Joe Biden è in testa con grande margine. In serata, da Virginia Beach, Sanders gli renderà merito con queste parole: «Voglio congratularmi con il vice presidente Joe Biden.
Ci sono tanti Stati nel Paese, non vinceremo dappertutto».
Dal podio del James Sports di Springfield, «Bernie» si guarda intorno: «Ehi, quanta gente». Gli organizzatori hanno spostato il comizio,che si doveva tenere in un posto più piccolo, a Leesburg. Hanno cambiato all’ultimo, sommersi di adesioni. «Siamo tanti, siamo il movimento che martedì ci porterà alla nomination e che ci farà sconfiggere Donald Trump, il presidente più pericoloso della storia».
Ecco, questa è la vera risposta di Sanders all’inatteso ritorno di Biden, ai piani di Michael Bloomberg, «alle preoccupazioni delle grandi industrie, dell’establishment dei media e della politica». Il senatore non attacca direttamente i moderati, ma i rifericondo
Successi Bernie Sanders, il 78enne senatore del Vermont, è arrivato secondo in Iowa e ha vinto in New Hampshire e Nevada menti sono chiari. Il primo messaggio è rivolto a Biden: «Per battere Trump non basterà il vecchio noioso modo di fare politica. Servono entusiasmo, coinvolgimento, partecipazione dei giovani, dei lavoratori, della comunità afroamericana, dei latinos, dei nativi americani». Il seflash è per Bloomberg e Buttigieg: «Non bastano i miliardari o le donazioni degli amici miliardari. Ci vuole il coraggio per affrontare la lobby militare, quella dei farmaci, quella delle armi, quella del petrolio e del carbone».
Sanders, naturalmente, non cambia il suo programma, le sue proposte. Ma nel momento della prima vera battuta d’arresto anche i sandersiani sono costretti a riflettere. Con il successo in Nevada, per esempio, il senatore era convinto di aver fatto breccia nella comunità afroamericana, eliminando il cronico punto debole della sua campagna. Sia chiaro, i neri ci sono anche qui a Springfield. Proprio sabato cento professori universitari afroamericani hanno scritto una lettera aperta per spiegare perché «sia necessario» appoggiare Sanders. Ma Biden ha fatto il pieno dei consensi tra i neri in South Carolina. Oltre ogni previsione. Segno che questo blocco dell’elettorato è fluido, esattamente come gli altri.
La strategia di Sanders è quella di chiamare a raccolta gli spezzoni sociali più penalizzati o in sofferenza: «gli 87 milioni» di americani senza copertura sanitaria e «i 18 milioni che spendono più del 50% del reddito per pagare l’affitto»; gli operai con paghe troppo basse, gli insegnanti trascurati dal governo, gli studenti schiacciati dai debiti. È un richiamo trasversale, che vuole tenere dentro tutti e che, soprattutto, cerca di catturare una larga fascia di astensionisti.
Biden, Bloomberg, Buttigieg e tanti commentatori sostengono che in un’eventuale finale, Sanders sarebbe spazzato via da Trump. Bernie risponde: «Serve un’affluenza alle urne mai vista. E solo il nostro movimento può suscitarla».
La «grande mobilitazione», però, deve fare i conti anche a sinistra. Elizabeth Warren fa sapere che non ha intenzione di ritirarsi. Anzi vuole arrivare fino in fondo, alla convention di luglio. Crescono le tensioni tra i due «radical». Naomi Klein, scrittrice no global schierata con «Bernie», rilancia un’insinuazione velenosa su Warren: «Se il vostro candidato progressista sta correndo per diventare la vicepresidente di Joe Biden, allora è il momento di ripensare il vostro voto. Magari, prima di martedì».