Corriere della Sera

I NOSTRI DOVERI

Allarme del coordinato­re regionale Antonio Pesenti «Il 26 marzo in Lombardia avremo 18 mila malati, 3 mila avranno bisogno di assistenza respirator­ia»

- di Luciano Fontana

uello che fino a qualche giorno fa sembrava inimmagina­bile è accaduto. La Lombardia, molte province dell’emilia-romagna, del Veneto, del Piemonte e delle Marche sono trasformat­e in un’enorme «zona di sicurezza»: non si potrà entrare o uscire nemmeno per motivi familiari e di lavoro, se non in casi eccezional­i e «indifferib­ili». All’interno delle città e dei paesi di questa area tantissime attività vengono bloccate e vietate.

MILANO «Ormai siamo costretti a creare terapie intensive in corridoio, nelle sale operatorie, nelle stanze di risveglio. Abbiamo sventrato interi reparti d’ospedale per fare posto ai malati gravi. Una delle Sanità migliori del mondo, quella lombarda, è a un passo dal collasso».

Antonio Pesenti, 68 anni, è il coordinato­re dell’unità di crisi di Regione Lombardia per le terapie intensive. Elogiato pubblicame­nte dallo scienziato Alberto Mantovani come uno dei migliori uomini di scienza italiani, è un medico-rianimator­e dai nervi saldi, abituato a governare ogni tipo di emergenza. Ma alle nove di sabato sera, dopo 17 giorni di lavoro senza sosta, la sua voce è rotta dalla stanchezza e dalla preoccupaz­ione: «Se la popolazion­e non capisce che deve stare a casa, la situazione diventerà catastrofi­ca».

Lei, insieme ai colleghi delle rianimazio­ni, è l’autore di una lettera durissima diretta al governo di Giuseppe

Conte: «Le proiezioni scientific­he sono molto allarmanti». Cosa intende dire?

«Il quadro è di gravità tale da richiedere un aumento dei posti in rianimazio­ne fino a dieci volte l’attuale disponibil­ità. Il numero di ricoverati in ospedale previsto alla data del 26 marzo è di 18 mila malati lombardi, dei quali un numero compreso tra 2.700 e 3.200 richiederà il ricovero in terapia intensiva. Oggi ci sono già oltre mille pazienti tra quelli in rianimazio­ne e quelli che rischiano di aggravarsi da un minuto all’altro. Noi monitoriam­o la situazione 24 ore su 24».

Nella lettera parla di rischi non solo per i malati di coronaviru­s, ma anche per tutti gli altri: «In pericolo c’è la sopravvive­nza non solo dei pazienti di Covid-19 — scrivete —, ma anche di quella parte di popolazion­e che comunque si rivolge al sistema sanitario».

«Finora in Lombardia le ambulanze sono sempre arrivate in 8 minuti, adesso rischiano di non arrivare entro un’ora. Un pericolo enorme per chi ha un infarto, e non solo».

Insomma, il sistema di emergenza-urgenza della Lombardia non è più in grado di garantire gli standard ordinari.

«Purtroppo è la verità. Io non lo dico per allarmare i cittadini, ma per fare capire a tutti che non è il momento di uscire, né di fare shopping né di andare a bere lo spritz, core

me ormai ripetiamo da giorni. Bisogna modificare i rapporti sociali, con i negozi e i mercati rionali chiusi. A Milano, dove io vivo, almeno finora c’è stata troppa gente inutilment­e in giro. Bisogna uscire

solo per comprarsi da mangiare».

I posti letto nelle terapie intensive aumentano di giorno in giorno, ma non bastano mai.

«Stiamo creando blocchi

Covid-19 ovunque. Ormai sono stati coinvolti tutti i principali ospedali della Lombardia, almeno una cinquantin­a. Come noto i pazienti contagiati non possono essere mischiati agli altri. Vuol dire averianima­zioni dove tutto avviene con particolar­i sistemi di protezione: dall’aria filtrata a medici e infermieri che si vestono e svestono sempre in presenza di un’altra persona per controllar­e che le procedure siano corrette perché basta una minima distrazion­e per infettarsi».

In che condizioni state lavorando?

«Lavoriamo bardati per proteggerc­i dal virus. Dopo 4 ore siamo sudati fradici, i movimenti sono rallentati e dobbiamo uscire dalla rianimazio­ne per idratarci. Noi stiamo facendo tutto il possibile, e anche di più, ma bisogna fermare i contagi. L’unico modo è la prevenzion­e».

In una delle ultime riunioni con i medici delle terapie intensive c’è chi non è riuscito a trattenere le lacrime.

«Per mestiere siamo abituati a fare fronte a qualunque situazione con sangue freddo. Ma solo chi la sta vivendo in prima linea può capire la drammatici­tà degli eventi».

È verosimile pensare di trasportar­e malati gravi nel resto d’italia?

«Sono pazienti molto complessi da spostare. Sia per le loro condizioni fisiche sia per le protezioni che vanno assunte per non contagiarc­i. La vedo difficile».

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Gli abitanti di Vo’ Euganeo al varco d’accesso di Zovon con le «lanterne della speranza»
(Bergamasch­i) Lanterne Gli abitanti di Vo’ Euganeo al varco d’accesso di Zovon con le «lanterne della speranza»
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Unità di crisi Antonio Pesenti, 68 anni, anestesist­a e rianimator­e

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