Ora i sensori fanno da scudo alla Natura
L’analisi dei dati può consentire di monitorare incendi, frane, piovosità, per prevenire e ridurre i rischi sul territorio. L’esperienza del ciclone Vaia e le contromisure
L’esperienza del ciclone Vaia che nel 2018 infuriò su Dolomiti e Veneto. Partire da una rete di sensori. Che trasmettono dati. E che ci consentono di difendere la natura monitorando incendi, frane, piovosità. Tutto questo potrebbe prevenire e ridurre i rischi sul territorio.
In quei giorni tra fine ottobre e inizio novembre 2018 il ciclone «Vaia» che infuriò su Dolomiti e Veneto fu eccezionale: venti a 192 chilometri l’ora, colonne d’acqua di 800 millimetri, 14 milioni di alberi schiantati, una vittima, parecchi feriti. Un disastro. Non possiamo sapere se Vaia possa essere attribuito direttamente all’emergenza climatica in atto, l’evidenza scientifica non lo consente. Ciò che è sicuro, comunque, è che Vaia rientra a pieno titolo tra gli eventi «estremi», sempre più frequenti sul pianeta da quando il «global warming» la fa da padrone, e che non risparmiano più nemmeno zone temperate come l’italia.
Che cosa si potrebbe fare per affrontare questo nuovo preoccupante scenario? Certo, gli alberi non torneranno indietro, ma proprio dopo quel cataclisma l’area veneta è diventata oggetto di un esperimento che è a suo modo una «prima» a livello mondiale, salvo qualche tentativo più modesto attuato finora in Israele e Cina. Il sistema nervoso della rete elettrica, diffusa capillarmente e tra le infrastrutture più sensibili e più colpite da eventi come Vaia, inizia ad essere dotato di sensori intelligenti. Su 26 grandi linee della zona ne sono stati disposti finora più di 500, e altri ne seguiranno. Sono sensori di diverso genere: alcuni rilevano le variazioni meteo come la temperatura, la velocità del vento, l’umidità, l’irraggiamento; altri il peso delle linee di trasmissione (fondamentale, quando nevica, per evitare i cortocircuiti dovuti ai manicotti di ghiaccio); altri ancora le vibrazioni dei tralicci, la loro inclinazione e addirittura l’accelerazione. Tutti insieme forniscono d
Investimenti
Per ora la società della rete, Terna, ha lavorato su 26 linee installando più di 500 sensori. Prossimo passo in Sicilia in tempo reale una quantità di dati, utilizzabili per scopi diversi. Non solo per quelli immediati di chi li ha installati (e pagati) cioè la società della rete Terna, che è interessata al funzionamento delle proprie linee e alla continuità delle forniture elettriche. Ma anche per la tutela delle aree esposte ai cambiamenti del clima: se combinati ed incrociati con i dati delle agenzie regionali come l’arpa o con quelli della Protezione civile consentirebbero di «intercettare» fenomeni dei singoli territori, e in particolare dei loro microclimi. Eventi che nessuna previsione meteo o climatica, basata sui modelli generalisti correnti, sarebbe in grado di fare.
Esempi concreti? Non solo calamità meteorologiche, ma anche incendi, sempre più frequenti durante i picchi di calore estivi. Qualità dell’aria, oppure frane e in genere pericoli idrogeologici, incrociando ad esempio dati di piovosità con quelli di piccoli fenomeni franosi rilevabili solo localmente, e che spesso sfuggono alle rilevazioni o non sono osservabili. Con algoritmi di analisi adeguati, addirittura, non sarebbe neppure impossibile costruire scenari di previsione.
Potenza dei «big data». Gli alberi della val di Fiemme, quelli della val di Fassa e dell’altopiano di Asiago non si sarebbero potuti salvare, ma in quei giorni difficili un resoconto in tempo reale della situazione avrebbe aiutato la Protezione civile a distribuire al meglio le proprie risorse sul territorio. E gli ambiti di applicazione potrebbero moltiplicarsi: sensori di salinità, ad esempio, potrebbero aiutare a valutare la progressione della corrosione delle strutture metalliche, o, cambiando prospettiva, fornire indicazioni per le coltivazioni agricole. La fantasia può non avere limiti. E anche i costi, sebbene ingenti, non si presentano proibitivi. Per le linee del Veneto, Terna è partita con 3 milioni di euro. Altri progetti analoghi riguardano per ora la Sicilia, e poi si vedrà Regione per Regione in base a valutazioni di rischio. Certo, arrivare ai 75mila chilometri della rete Terna ad alta tensione, o al milione abbondante di chilometri delle reti di distribuzione delle utilities italiane sommate insieme, comporterebbe un cambio di passo. Finora impensabile, ma di grande utilità sociale.
Per le reti elettriche sarebbe peraltro solo l’ultimo gradino della trasformazione all’insegna del digitale che le ha coinvolte da una decina d’anni a questa parte. Cresciute con lo sviluppo industriale degli anni Cinquanta, cioè distribuite sul territorio in corrispondenza delle grandi centrali, le reti hanno dovuto adattarsi allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Inseguendo così una nuova geografia basata sulla diffusione degli incentivi pubblici e i permessi delle Regioni (dove si danno soldi e le licenze, lì nascono gli impianti). E inseguendo non solo l’«intermittenza» tipica del sole e del vento (che di notte, con le nuvole o con calma piatta non ci sono) ma anche le nuove formule del consumo, dove il singolo cittadino con i suoi pannelli solari può diventare «prosumer», ovvero consumatore e produttore insieme. Grazie anche all’«internet delle cose» e alla diffusione di sistemi di stoccaggio dell’elettricità impensabili fino ai primi anni Duemila.
La rete elettrica, insomma, da passiva è diventata attiva, sempre più «smart». E ora può anche iniziare a contribuire alla salvaguardia del territorio e dell’ambiente che nel passato non l’ha accolta (spesso con ragione) con troppo entusiasmo.