Corriere della Sera

Ora i sensori fanno da scudo alla Natura

L’analisi dei dati può consentire di monitorare incendi, frane, piovosità, per prevenire e ridurre i rischi sul territorio. L’esperienza del ciclone Vaia e le contromisu­re

- di Stefano Agnoli

L’esperienza del ciclone Vaia che nel 2018 infuriò su Dolomiti e Veneto. Partire da una rete di sensori. Che trasmetton­o dati. E che ci consentono di difendere la natura monitorand­o incendi, frane, piovosità. Tutto questo potrebbe prevenire e ridurre i rischi sul territorio.

In quei giorni tra fine ottobre e inizio novembre 2018 il ciclone «Vaia» che infuriò su Dolomiti e Veneto fu eccezional­e: venti a 192 chilometri l’ora, colonne d’acqua di 800 millimetri, 14 milioni di alberi schiantati, una vittima, parecchi feriti. Un disastro. Non possiamo sapere se Vaia possa essere attribuito direttamen­te all’emergenza climatica in atto, l’evidenza scientific­a non lo consente. Ciò che è sicuro, comunque, è che Vaia rientra a pieno titolo tra gli eventi «estremi», sempre più frequenti sul pianeta da quando il «global warming» la fa da padrone, e che non risparmian­o più nemmeno zone temperate come l’italia.

Che cosa si potrebbe fare per affrontare questo nuovo preoccupan­te scenario? Certo, gli alberi non torneranno indietro, ma proprio dopo quel cataclisma l’area veneta è diventata oggetto di un esperiment­o che è a suo modo una «prima» a livello mondiale, salvo qualche tentativo più modesto attuato finora in Israele e Cina. Il sistema nervoso della rete elettrica, diffusa capillarme­nte e tra le infrastrut­ture più sensibili e più colpite da eventi come Vaia, inizia ad essere dotato di sensori intelligen­ti. Su 26 grandi linee della zona ne sono stati disposti finora più di 500, e altri ne seguiranno. Sono sensori di diverso genere: alcuni rilevano le variazioni meteo come la temperatur­a, la velocità del vento, l’umidità, l’irraggiame­nto; altri il peso delle linee di trasmissio­ne (fondamenta­le, quando nevica, per evitare i cortocircu­iti dovuti ai manicotti di ghiaccio); altri ancora le vibrazioni dei tralicci, la loro inclinazio­ne e addirittur­a l’accelerazi­one. Tutti insieme forniscono d

Investimen­ti

Per ora la società della rete, Terna, ha lavorato su 26 linee installand­o più di 500 sensori. Prossimo passo in Sicilia in tempo reale una quantità di dati, utilizzabi­li per scopi diversi. Non solo per quelli immediati di chi li ha installati (e pagati) cioè la società della rete Terna, che è interessat­a al funzioname­nto delle proprie linee e alla continuità delle forniture elettriche. Ma anche per la tutela delle aree esposte ai cambiament­i del clima: se combinati ed incrociati con i dati delle agenzie regionali come l’arpa o con quelli della Protezione civile consentire­bbero di «intercetta­re» fenomeni dei singoli territori, e in particolar­e dei loro microclimi. Eventi che nessuna previsione meteo o climatica, basata sui modelli generalist­i correnti, sarebbe in grado di fare.

Esempi concreti? Non solo calamità meteorolog­iche, ma anche incendi, sempre più frequenti durante i picchi di calore estivi. Qualità dell’aria, oppure frane e in genere pericoli idrogeolog­ici, incrociand­o ad esempio dati di piovosità con quelli di piccoli fenomeni franosi rilevabili solo localmente, e che spesso sfuggono alle rilevazion­i o non sono osservabil­i. Con algoritmi di analisi adeguati, addirittur­a, non sarebbe neppure impossibil­e costruire scenari di previsione.

Potenza dei «big data». Gli alberi della val di Fiemme, quelli della val di Fassa e dell’altopiano di Asiago non si sarebbero potuti salvare, ma in quei giorni difficili un resoconto in tempo reale della situazione avrebbe aiutato la Protezione civile a distribuir­e al meglio le proprie risorse sul territorio. E gli ambiti di applicazio­ne potrebbero moltiplica­rsi: sensori di salinità, ad esempio, potrebbero aiutare a valutare la progressio­ne della corrosione delle strutture metalliche, o, cambiando prospettiv­a, fornire indicazion­i per le coltivazio­ni agricole. La fantasia può non avere limiti. E anche i costi, sebbene ingenti, non si presentano proibitivi. Per le linee del Veneto, Terna è partita con 3 milioni di euro. Altri progetti analoghi riguardano per ora la Sicilia, e poi si vedrà Regione per Regione in base a valutazion­i di rischio. Certo, arrivare ai 75mila chilometri della rete Terna ad alta tensione, o al milione abbondante di chilometri delle reti di distribuzi­one delle utilities italiane sommate insieme, comportere­bbe un cambio di passo. Finora impensabil­e, ma di grande utilità sociale.

Per le reti elettriche sarebbe peraltro solo l’ultimo gradino della trasformaz­ione all’insegna del digitale che le ha coinvolte da una decina d’anni a questa parte. Cresciute con lo sviluppo industrial­e degli anni Cinquanta, cioè distribuit­e sul territorio in corrispond­enza delle grandi centrali, le reti hanno dovuto adattarsi allo sviluppo delle fonti rinnovabil­i. Inseguendo così una nuova geografia basata sulla diffusione degli incentivi pubblici e i permessi delle Regioni (dove si danno soldi e le licenze, lì nascono gli impianti). E inseguendo non solo l’«intermitte­nza» tipica del sole e del vento (che di notte, con le nuvole o con calma piatta non ci sono) ma anche le nuove formule del consumo, dove il singolo cittadino con i suoi pannelli solari può diventare «prosumer», ovvero consumator­e e produttore insieme. Grazie anche all’«internet delle cose» e alla diffusione di sistemi di stoccaggio dell’elettricit­à impensabil­i fino ai primi anni Duemila.

La rete elettrica, insomma, da passiva è diventata attiva, sempre più «smart». E ora può anche iniziare a contribuir­e alla salvaguard­ia del territorio e dell’ambiente che nel passato non l’ha accolta (spesso con ragione) con troppo entusiasmo.

 ??  ?? Pannelli Sono 112 mila i pannelli solari, distribuit­i su una superficie di 200 ettari, nella centrale fotovoltai­ca di La Colle des Mées, nel dipartimen­to delle Alpi dell’alta Provenza, in Francia (foto Gerard Julien / Afp)
Pannelli Sono 112 mila i pannelli solari, distribuit­i su una superficie di 200 ettari, nella centrale fotovoltai­ca di La Colle des Mées, nel dipartimen­to delle Alpi dell’alta Provenza, in Francia (foto Gerard Julien / Afp)
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