La fragile tregua in Afghanistan E gli interessi elettorali di Trump
Il documento che gli americani e gli afghani hanno firmato negli scorsi giorni in un albergo di Doha non è il trattato di pace che metterà fine al lungo conflitto iniziato nell’ottobre 2001 quando George W. Bush decise di punire l’afghanistan per l’ospitalità che stava riservando al leader di Al Qaeda dopo gli attacchi di settembre alle Torri gemelle di New York. È un lungo armistizio durante il quale ciascuno dei due contendenti lascerà sul terreno, per più di anno, tutto ciò che può servire a una rapida ripresa delle ostilità. Vi è certamente, in molti ambienti, un genuino desiderio di pace, ma i talebani non hanno rinunciato alla vittoria e la nuova dirigenza di Kabul, cresciuta all’ombra degli americani, teme di perdere il potere, se non addirittura la vita. Il rischio, quindi, è che i talebani approfittino di questa tregua per prepararsi a nuovi attacchi e nuove offensive. I primi a esserne consapevoli, probabilmente, sono i consulenti militari del presidente. Ma il calendario presidenziale esigeva una tregua in Afghanistan. Per affrontare il giudizio delle urne (le prossime elezioni saranno nel novembre di quest’anno) Donald Trump doveva mantenere la promessa fatta ai suoi elettori e riportare a casa il maggior numero possibile di «ragazzi». Lo ha fatto in Iraq qualche mese fa, con risultati discutibili, e lo farà ancora verso la fine dell’estate, nell’ultima fase della campagna elettorale, richiamando dall’afghanistan più di cinquemila uomini. Come ha
I timori e la realtà La nuova dirigenza di Kabul, cresciuta all’ombra degli americani, teme di perdere il potere se non persino la vita
ricordato David E. Sanger sul New York Times del 2 marzo, qualcosa di molto simile accadde quando Richard Nixon, nel gennaio del 1973, prima delle elezioni per il suo secondo mandato, concluse un accordo con il Vietnam del Nord che avrebbe dovuto garantire ai vietnamiti la convivenza dei due Vietnam e al presidente degli Stati Uniti un secondo mandato alla Casa Bianca. Nixon fu rieletto, ma poco più di tre anni dopo, il 30 aprile 1975, l’ultimo elicottero americano lasciava precipitosamente Saigon.
Nixon e Trump non sono i soli presidenti a cui si possano imputare queste strategie elettorali. Anche Barack Obama, il 21 ottobre 2011, annunciò che tutti i soldati americani sarebbero stati ritirati dall’iraq entro la fine di dicembre. Era nel terzo anno del suo primo mandato e si preparava ad affrontare la campagna elettorale per la seconda presidenza. Ma un anno prima aveva coraggiosamente sfidato l’elettorato conservatore e la corporazione dei medici approvando una riforma sanitaria che molti americani consideravano «socialista». La politica di Donald Trump e, in particolare, quella internazionale, dalle relazioni con la Corea del Nord a quelle con la Cina, sono invece quasi sempre dettate da un calcolo strettamente elettorale.