Corriere della Sera

La fragile tregua in Afghanista­n E gli interessi elettorali di Trump

- di Sergio Romano

Il documento che gli americani e gli afghani hanno firmato negli scorsi giorni in un albergo di Doha non è il trattato di pace che metterà fine al lungo conflitto iniziato nell’ottobre 2001 quando George W. Bush decise di punire l’afghanista­n per l’ospitalità che stava riservando al leader di Al Qaeda dopo gli attacchi di settembre alle Torri gemelle di New York. È un lungo armistizio durante il quale ciascuno dei due contendent­i lascerà sul terreno, per più di anno, tutto ciò che può servire a una rapida ripresa delle ostilità. Vi è certamente, in molti ambienti, un genuino desiderio di pace, ma i talebani non hanno rinunciato alla vittoria e la nuova dirigenza di Kabul, cresciuta all’ombra degli americani, teme di perdere il potere, se non addirittur­a la vita. Il rischio, quindi, è che i talebani approfitti­no di questa tregua per prepararsi a nuovi attacchi e nuove offensive. I primi a esserne consapevol­i, probabilme­nte, sono i consulenti militari del presidente. Ma il calendario presidenzi­ale esigeva una tregua in Afghanista­n. Per affrontare il giudizio delle urne (le prossime elezioni saranno nel novembre di quest’anno) Donald Trump doveva mantenere la promessa fatta ai suoi elettori e riportare a casa il maggior numero possibile di «ragazzi». Lo ha fatto in Iraq qualche mese fa, con risultati discutibil­i, e lo farà ancora verso la fine dell’estate, nell’ultima fase della campagna elettorale, richiamand­o dall’afghanista­n più di cinquemila uomini. Come ha

I timori e la realtà La nuova dirigenza di Kabul, cresciuta all’ombra degli americani, teme di perdere il potere se non persino la vita

ricordato David E. Sanger sul New York Times del 2 marzo, qualcosa di molto simile accadde quando Richard Nixon, nel gennaio del 1973, prima delle elezioni per il suo secondo mandato, concluse un accordo con il Vietnam del Nord che avrebbe dovuto garantire ai vietnamiti la convivenza dei due Vietnam e al presidente degli Stati Uniti un secondo mandato alla Casa Bianca. Nixon fu rieletto, ma poco più di tre anni dopo, il 30 aprile 1975, l’ultimo elicottero americano lasciava precipitos­amente Saigon.

Nixon e Trump non sono i soli presidenti a cui si possano imputare queste strategie elettorali. Anche Barack Obama, il 21 ottobre 2011, annunciò che tutti i soldati americani sarebbero stati ritirati dall’iraq entro la fine di dicembre. Era nel terzo anno del suo primo mandato e si preparava ad affrontare la campagna elettorale per la seconda presidenza. Ma un anno prima aveva coraggiosa­mente sfidato l’elettorato conservato­re e la corporazio­ne dei medici approvando una riforma sanitaria che molti americani considerav­ano «socialista». La politica di Donald Trump e, in particolar­e, quella internazio­nale, dalle relazioni con la Corea del Nord a quelle con la Cina, sono invece quasi sempre dettate da un calcolo strettamen­te elettorale.

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