Corriere della Sera

ITALIANI

- MARISA BRUNI TEDESCHI

Italie. L’autobiogra­fia di Marisa, Care figlie vi scrivo, edita dalla Nave di Teseo nel 2017, è anche una carrellata di amanti che va dal grande pianista Arturo Benedetti Michelange­li al giovane Maurizio Remmert, vent’anni meno di lei, un amore lungo sei anni che ne farà il padre naturale di Carla, la quale saprà la verità solo ventottenn­e. Celebre è una foto scattata da Helmut Newton: Marisa è in piedi, in bikini e infradito, già con le grinze dell’età, mentre il marito è al piano con una giovane Carla in versione Lolita sulle ginocchia. Però pensare che quello di Marisa sia uno spirito da «épater le bourgeois», non rende giustizia alla storia di una donna che ne ha viste e passate tante.

Quali sono i suoi primi ricordi?

«La grande casa di Parigi dove ho vissuto fino a cinque anni perché papà faceva l’ingegnere lì. Quindi l’appartamen­to assai brutto di Torino, dove rientrammo perché gli affari andarono male. E le adunate sotto il fascismo, con noi bimbe in divisa che cantavamo i cori. Dopo, ricordo la guerra, i bombardame­nti, il peregrinar­e da sfollati, io piccola che distribuis­co cioccolata ai soldati, ma vedo le loro mani amputate e svengo. Ricordo il disprezzo nella voce di mamma, che era francese, quando nominava i boches, i tedeschi, e la volta che si rifiutò di dare la fede per la patria e quando scelse appositame­nte una maestra ebrea che veniva a darmi lezioni a casa sotto falso nome».

Il momento più brutto?

«Io, mamma e le mie due sorelle finimmo in un rastrellam­ento dei nazisti per rappresagl­ia. Ci piazzarono in un campo di granoturco per fucilarci. Avevo 15 anni. Ci tennero così per due ore, poi decisero che rinunciava­no, ma che ci avrebbero bruciato la casa. Quindi, cambiarono ancora idea e ci portarono ad assistere all’impiccagio­ne di sei ragazzi».

Suo padre dov’era?

«Era già morto, non per la guerra, ma di malattia, a 50 anni. Pensare che mi sembrava vecchio. Ora, vorrei averli io 50 anni».

In tutto ciò, riusciva a sorridere?

«La maestra mi chiamava “Aurora” perché ero sempre allegra e la mettevo di buonumore. Amavo il piano, suonavo anche durante la guerra, anche se ho potuto prendere lezioni solo prima e dopo. Recuperare è stato difficile, ma io volevo diventare pianista, mentre mio cognato, che era il nuovo capofamigl­ia, mi voleva ragioniera. Diceva: devi guadagnare, da pianista sarai una morta di fame».

Dunque, non è nata ricca?

«Il nonno paterno, da muratore, era diventato costruttor­e e anche quello materno si era fatto da solo: aveva una centrale elettrica. Ma

Il momento più brutto Io, mamma e le mie due sorelle finimmo in un rastrellam­ento dei nazisti per rappresagl­ia Ci misero in un campo di granoturco per fucilarci Poi rinunciaro­no

Il ricordo del marito Alberto aveva 15 anni più di me e un’intelligen­za straordina­ria. Mi ha insegnato tutto: musica, arte, finanza. Ci siamo molto amati, anche se con una certa libertà

mio suocero, quando lo conobbi, mi disse: ci sono famiglie che salgono e famiglie che scendono, la sua è discesa».

L’incontro con suo marito?

«Bizzarro. Un giorno del ’51, un’amica mi disse: pare che ti sposi con Alberto Bruni Tedeschi. Non sapevo chi fosse, poi vidi il manifesto di un suo concerto e andai a vederlo. Notai solo che sembrava timido. Giorni dopo, mi fece invitare a una cena. La prima sera da soli, mi disse: una cosa è certa, non mi sposerò mai».

Invece, vi sposaste sei anni dopo.

«Viaggiavam­o insieme, io ricevevo da lui come se fossi la padrona di casa: non erano cose benviste all’epoca. A me non importava, ma poi suo padre disse che era ora di smetterla perché lui voleva un nipote e che io gli andavo bene, essendo cattolica e musicista».

Che amore è stato?

«Alberto aveva 15 anni più di me e un’intelligen­za straordina­ria. Mi ha insegnato tutto: musica, arte, finanza. Ci siamo molto amati».

Vi siete anche traditi a vicenda.

«Però non ci siamo mai lasciati. Era una storia d’amore con una certa libertà. Tante cose non funzionava­no più, io viaggiavo, avevo incontri, non ci nascondeva­mo niente e non abbiamo mai litigato per quello. È sempre rimasta la stima e l’amore profondiss­imo».

Con Michelange­li come andò?

«Durò un anno e mezzo, lo chiamavo “il mio arcangelo”. Quando ripenso al passato, questa è una delle cose che rivivrei. Lo raggiungev­o ovunque, sparivo per giorni. Quando mio marito mi chiese “chi è?” e glielo dissi, ci fu un momento di silenzio, poi mi fece: ti capisco».

Perché finì?

«Arturo aveva un carattere piuttosto strampalat­o. Lui, che fossero amici o donne, di colpo, si stufava di una persona e la piantava. Diventò insopporta­bile e, una notte, uscii dalla sua casa di montagna, feci 16 chilometri a piedi nei boschi e me ne andai».

Le figlie che dicono della sua vita avventuros­a?

«Ma sa, ho figlie moderne. Vogliono bene alla loro madre e non si scandalizz­ano».

Fu suo marito Alberto, prima di morire, a confessare a Carla di non essere suo padre. Perché non gliel’ha detto lei?

«In verità, non ci avevo neanche tanto pensato. Poi, Carla e Maurizio si sono conosciuti, piaciuti. Lui è un bell’uomo, colto, vive in Brasile, è stata una cosa accolta e digerita bene».

Lei come ha educato i suoi figli?

«Molto liberi. Hanno studiato e fatto quello che volevano. Virginio amava il mare, girava il mondo a vela, era un fotografo eccezional­e.

Era più chiuso delle sorelle, ma molto gentile, rispettoso. Era fantastico, purtroppo il destino... Questo è il punto triste della mia vita».

Come si sopravvive a un figlio?

«Sul momento, uno ha voglia di morire, poi siccome anche morire non è facile, ti adatti, trovi attività, ti giri sugli altri che rimangono, anche se ci pensi sempre, continuame­nte. Nella casa di Cap Nègre, la notte, fumo l’ultima sigaretta sulla mia terrazza, guardo il cielo, mi dico che le persone che ho amato sono in quelle stelle. Et voilà, vado dal passato al futuro».

Che immagina per il futuro?

«È piccolo, ma c’è ancora. Penso che voglio suonare e vedere crescere i nipoti. E Valeria mi ha detto che una persona prepara una pièce di teatro in cui ci sarò».

Le è piaciuto essere «first suocera»?

«Molto: avevo solo le cose piacevoli e nessuna responsabi­lità. Nicolas mi ha portata in tanti viaggi interessan­ti, lui è delizioso, ho incontrato moltissima gente. Gli Obama sono arrivati all’eliseo con le figlie e la mamma di Michelle. Noi due suocere ci siamo nascoste a fumare fuori, perché Michelle non vuole che si fumi in casa».

Che vi siete dette lei e la regina Elisabetta a Windsor?

«Parlammo dei figli, sapeva di Virginio».

Con Sonia Gandhi in India come è andata?

«L’ho trovata antipatica: io e Carla volevamo sapere se mangiava ancora la bagna cauda, ma ci ha detto subito che ormai è indiana, non va più a Torino e non parla italiano».

Papa Ratzinger?

«La prima volta, sono andata in Vaticano con Sarkozy e non mi ha ricevuta perché Carla non era ancora sposata. Dopo, però, all’eliseo, mi ha regalato un bel rosario di perle».

Come nasce la famosa foto di Newton?

«A dire il vero, la trovo orribile. Ma, ai tempi, i fotografi andavano, venivano. Helmut stette da noi tre o quattro giorni, faceva foto a destra e a sinistra, non lo controllav­amo».

Vive ancora in un castello?

«Siamo tutti in diversi appartamen­ti. Delle tante case, resta Cap Nègre. Ancora oggi, ci ritroviamo o non ci ritroviamo tutti lì».

In Italia torna?

«Vado a Venezia ogni tanto, sono consiglier­e della Fondazione Giorgio Cini, che conserva gli archivi musicali di mio marito. Il concerto dei miei 90 anni era previsto lì, ma l’ho spostato per via del coronaviru­s».

Ha più rimpianti o più rimorsi?

«Rimorsi no, rimpianti sì: cose che volevo e non ho fatto e troppo intime da raccontare».

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Con i tre figli Da sinistra: Virginio, Valeria, Carla in primo piano e Marisa

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