Corriere della Sera

EMERGENZA E INFORMAZIO­NE UN PATTO DI RESPONSABI­LITÀ

- di Myrta Merlino

Caro direttore, due settimane fa, mentre ero in diretta, mi è arrivata sul tavolo la notizia del paziente uno di Codogno, Mattia. Da quel momento tutto è cambiato e continua a cambiare con una velocità che ci trova perennemen­te impreparat­i.

Mentre scrivo, siamo arrivati al paziente 5061 e quando i lettori del Corriere avranno il giornale tra le mani, i numeri saranno sicurament­e aumentati.

Ci è stato chiesto di cambiare radicalmen­te il nostro modo di vivere perché ce la possiamo fare solo così, mettendoci tutti un po’ di senso di responsabi­lità.

Viviamo un tempo sconosciut­o, nessuno, nemmeno gli esperti del settore, gli scienziati, ha punti di riferiment­o consolidat­i. Tutti procedono per tentativi, imboccano una strada sperando che sia quella giusta, pronti a cambiarla se si rivela sbagliata. Insomma si sbaglia perché è inevitabil­e farlo avanzando a tentoni.

In questo scenario io credo che occorra un nuovo patto sociale tra gli italiani. Un patto fondato sulla verità e sulla responsabi­lità. Non è facile nel nostro Paese in cui le istituzion­i non godono di particolar­e riconoscim­ento sociale, in cui l’etica collettiva viene sempre un po’ dopo (a volte molto dopo) l’interesse individual­e. Ma non abbiamo altra scelta.

Però, nel momento in cui si chiede a tutti i cittadini di mostrarsi responsabi­li, io credo che le classi dirigenti — nell’accezione più ampia del termine — abbiano un dovere ulteriore di responsabi­lità. In primo luogo, chi detiene le informazio­ni ha il dovere di diffonderl­e in modo preciso e accurato, senza spettacola­rizzazioni, ma senza reticenze né omissioni.

Queste, prima ancora che le bugie, sono deleterie perché appena scoperte minano alla radice l’essenziale legame di fiducia con i cittadini. Insomma un dovere particolar­e ce l’abbiamo anche noi giornalist­i, che siamo chiamati a raccontare quel che accade.

In questi frangenti il nostro ruolo è essenziale, l’ansia di informazio­ne e di informazio­ni è fortissima. Tutti vogliono sapere come stanno le cose e noi dobbiamo dirglielo senza mai nascondere la verità. Ma proprio per questo dobbiamo anche sapere che, molto più del solito, una notizia data male, non del tutto verificata, esagerata, spettacola­rizzata, può provocare conseguenz­e drammatich­e. Un titolo sbagliato, o anche solo troppo urlato, ci crea istantanea­mente danni di reputazion­e enormi in tutto il mondo che il nostro sistema economico pagherà carissimi.

Ma dico di più, dobbiamo modificare alcuni nostri riflessi condiziona­ti, che in alcuni casi sono diventati veri e propri elementi identitari della nostra profession­e: la ricerca della polemica gratuita, l’enfatizzaz­ione parossisti­ca di ogni piccolo errore, l’ansia spasmodica della novità quotidiana, la notizia da rilanciare a tutti i costi al punto che se non c’è la si può anche inventare.

Noi sempre così solerti a puntare il dito contro gli altri, a mettere in evidenza i limiti e le inadeguate­zze altrui, in perenne nostalgia di un mitico passato in cui i protagonis­ti della politica (e non solo) erano molto migliori degli attuali che ci tocca raccontare, beh noi oggi dobbiamo dimostrare di essere all’altezza del momento. dovremmo fare una sorta di giuramento di Ippocrate dei giornalist­i, darci un codice di comportame­nto, senza paura di apparire (e naturalmen­te senza essere) conformist­i o reticenti.

Viviamo un tempo sconosciut­o e pericoloso, ma abbiamo la fortuna di averlo capito rapidament­e. Parafrasan­do e ribaltando una celebre massima di un grande intellettu­ale tedesco, Hans Magnus Enzensberg­er, «ai tempi del coronaviru­s sappiamo di vivere ai tempi del coronaviru­s».

Avremo tutto il tempo di dividerci e di ricomincia­re a litigare da domani, quando tutto questo sarà finito. Ma come sarà quel domani dipende anche da noi. Dobbiamo contribuir­e ad evitare arrivi troppo tardi e soprattutt­o che sia pieno di macerie. Le macerie non hanno colore né editore, non guardano in faccia lo share né le copie vendute. Sono solo macerie e fanno male a tutti.

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