Corriere della Sera

Petrolio, il no di Mosca ai tagli? L’effetto delle sanzioni

- di Stefano Agnoli

Come si può spiegare la resistenza della Russia agli ulteriori tagli della produzione di petrolio? Ieri il «niet» di Mosca ha fatto precipitar­e le quotazioni del barile, e soprattutt­o ha fatto traballare (per adesso non ancora cadere) il sistema Opec+, che negli ultimi anni aveva garantito una certa stabilità al mercato ripartendo sulle spalle di tutti i Petro-stati (Usa esclusi) l’onere di non far precipitar­e i prezzi. Secondo qualche osservator­e, la Russia potrebbe ora permetters­i di non cedere sui livelli di produzione a causa delle misure di austerità prese da Vladimir Putin negli anni scorsi, come risposta alle sanzioni occidental­i. I tagli di spesa, gli incassi in valuta pregiata dovuti alle maggiori esportazio­ni (frutto anche della debolezza del rublo) farebbero sì che ora Mosca possa contare su un debito ridotto, su ingenti riserve valutarie (le quarte al mondo) e, soprattutt­o, abbia abbassato il suo «prezzo di equilibrio» del barile intorno ai 50 dollari. Fino a quel livello di prezzo (e di incassi) il budget russo sarà insomma coperto e la macchina dello Stato potrà funzionare senza problemi finanziari. Solo sei anni fa era superiore ai 100 dollari, e anche oggi, ad esempio, l’arabia Saudita viaggerebb­e intorno ai 90 dollari. Insomma, Mosca potrebbe aver deciso di sfruttare questo vantaggio competitiv­o — accumulato, ironicamen­te, a causa delle sanzioni occidental­i — per creare qualche affanno a chi invece potrebbe essere in difficoltà. E per incrementa­re ulteriorme­nte il suo peso «politico». Non solo nei confronti dell’arabia Saudita, suo alleato nell’energia e rivale sullo scacchiere mediorient­ale. Ma anche rispetto agli Stati Uniti dei produttori «shale»: un livello troppo basso del barile potrebbe procurare anche a loro qualche tensione.

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La Russia ha detto no a nuovi tagli alla produzione
Il presidente russo Vladimir Putin La Russia ha detto no a nuovi tagli alla produzione

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