«Patto europeo sulla plastica l’industria vuole regole chiare»
Ciotti (Corepla): si rischia una giungla di norme diverse per ogni Paese
MILANO «Ogni azione che aumenti l’economia circolare è la benvenuta. Ma l’industria ha bisogno di indicazioni chiare e nel Patto europeo per la plastica non ce ne sono». Antonello Ciotti è il presidente di Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, costituito nel novembre del 1997 e di cui fanno parte circa 2.589 imprese dell’intera filiera. Venerdì l’italia è entrata a far parte del Patto europeo della plastica, raggiungendo altri 10 governi e più di cinquanta imprese e organizzazioni di settore per rafforzare la cooperazione sul piano giuridico e tecnologico sul riuso e riciclo delle plastiche. Una coalizione di soggetti pubblici e privati attivi nella lotta all’inquinamento legato alla plastica che assumono impegni, di natura volontaria, ma quantificabili ed estremamente ambiziosi rispetto a quanto già contenuto nelle norme Ue.
Perché questo Patto non la convince?
«Ci lascia un po’ interdetti perché leggendolo attentamente non c’è alcuna spinta alla riduzione del ricorso alle discariche e sembra favorire l’azione autonoma di Stati e aziende, una fuga in avanti che fa saltare l’armonizzazione delle norme europee e rischia di creare una frattura tra i Paesi più avanzati e quelli più indietro. Si parla di Paesi front runner, il rischio è una giungla di disposizioni e richieste che cambiano da un Paese all’altro».
L’unione europea è però già in prima linea per la riduzione delle discariche. Non è un atteggiamento ormai acquisito?
«Ci sono Paesi come la Germania che non portano più nulla in discarica e altri nell’est Europa in cui il tasso di conferimento è superiore all’80%. Dietro all’armonizzazione si gioca anche una competitività economica. L’italia fa parte di quegli Stati che devono ancora migliorare la raccolta e ridurre le discariche (nel 2018 la Ue ha aperto una procedura d’infrazione per la mancata bonifica o chiusura di 41 discariche, ndr). Comunque siamo migliorati. Tutti ricordano le criticità della Campania e di Napoli, ora con la collaborazione delle amministrazioni locali e dei cittadini è stato raggiunto il livello della Lombardia per chilo di imballaggi di plastica raccolti per abitante».
Però la plastica è uno degli inquinanti maggiori ad esempio dei mari. C’è un problema di sostenibilità.
«Sulla sostenibilità è necessario che l’europa si muova con una velocità condivisa. Ma soprattutto bisogna arrivare a una definizione scientifica, fissare le caratteristiche tecniche per definire un imballaggio sostenibile in base alla sua vita complessiva. Altrimenti la risposta più semplice è “riduciamo il consumo di plastica”. Ma è una risposta ideologica».
Un esempio?
«Un piatto di plastica — di quelli monouso banditi dalla Ue — è riciclabile mentre quello di carta rivestito di film non è riciclabile. Quale dei due è il più sostenibile? Il parmigiano che troviamo nei supermercati è conservato in un film che pesa 7 grammi e che consente di conservarlo per oltre due mesi. L’emissione di CO2 per la produzione di un chilo di parmigiano è 100 volte superiore di quella emessa per produrre il film che lo avvolge e lo conserva. Ora la grande sfida è fare imballaggi sempre più performanti».
Serve che l’unione europea fissi le caratteristiche tecniche per valutare un imballaggio sostenibile
E l’ambiente?
«Bisogna riciclare di più. Chiediamo al governo di consentire di fare più impianti per la selezione e il riciclo degli imballaggi. Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia non ne hanno a sufficienza. Per far partire l’economia circolare è necessario completare l’iter di alcuni decreti come quello sul fine vita dei rifiuti: se non viene chiarito quando uno scarto diventa prodotto, rimane rifiuto e non torna in circolo. Serve una legislazione più chiara anche per trasformare i rifiuti di plastica non riciclabili in prodotti per fare calore, da usare nei cementifici o nei termovalorizzatori».