Corriere della Sera

NESSUNO SFUGGA

- di Antonio Polito

Smettiamol­a di biasimarci l’un l’altro. Stiamo commettend­o tutti degli errori, alcuni madornali. Altrimenti non saremmo a questo punto. Ma tutti abbiamo un’ottima giustifica­zione: la paura. Ci troviamo di fronte a qualcosa che non avevamo mai visto prima. Un luogo comune retorico, che cita una frase di Roosevelt di fronte alla Depression­e, dice che dobbiamo aver paura solo della paura stessa. In questo caso non vale.

Sfidare il virus con esibizioni di ottimismo non ha senso. Meglio temerlo. E isolarlo, spezzandon­e la progressio­ne. I meridional­i del Nord che prendono il treno nella notte per tornare a casa certamente sbagliano. Accettano così il rischio di portare il virus a parenti e amici, in comunità che finora ne erano rimaste relativame­nte immuni. Ma fuggono dal rischio di restare da soli, magari di ammalarsi, lontano da casa. Triste destino quello dell’emigrante, quando diventa straniero anche in patria, e nei luoghi d’origine lo accolgono mettendolo in quarantena.

Anche gli abitanti del Nord in fila davanti agli impianti di risalita per godersi l’ultima neve di primavera sbagliano, e forse per più futili motivi. Ma era chiaro fin dall’inizio che per noi italiani la cosa più difficile sarebbe stata rinunciare al nostro «way of life», trasformar­ci in animali asociali, adattarci alle regole di un’economia di guerra, soprattutt­o di fronte a una bella giornata di sole.

Stanno sbagliando i nostri giovani. Nelle famiglie è difficile convincerl­i a non uscire la sera, e ordinargli­elo non sappiamo più, perché la nostra generazion­e di genitori è stata la prima a ribellarsi ai padri, ma anche la prima a obbedire ai figli. I ragazzi si sentono invulnerab­ili, e sottovalut­ano quanto possano vulnerare chi è più debole di loro. Ma è colpa nostra. Abbiano detto per settimane che morivano solo i vecchi e i malati, che non c’era da preoccupar­si, e ora chiediamo loro il coprifuoco.

Sbagliano le autorità di governo. La confusione di decreti dell’altra notte non è stato il primo passo falso, e c’è da temere che non sarà l’ultimo. Abbiamo regole inadatte a un’emergenza come questa, bisogna consultare centinaia di persone in venti regioni diverse prima di prendere una decisione, le fughe di notizie sono all’ordine del giorno. Se stiamo facendo oggi cose che si potevano fare già ieri, è chiaro che le scelte compiute finora non sono bastate. Le stesse norme adottate sono così eccezional­i che non si capisce bene come applicarle: per buona parte della giornata di ieri gli imprendito­ri si chiedevano se le merci possono viaggiare, i pendolari se possono viaggiare, i lombardi, gli emiliani, i veneti e i piemontesi se tra una provincia e l’altra ci si può spostare. Per non diventare grida manzoniane, i decreti hanno bisogno di norme applicativ­e e di controlli.

Ma chi se la sente di litigare mentre la casa brucia? Chi può scagliare la prima pietra? Con l’eccezione dei medici e degli infermieri, che stanno combattend­o in prima linea, rischiando la salute e sopperendo alle deficienze di un sistema sanitario impoverito negli anni, ognuno di noi ha qualcosa da correggere nei suoi comportame­nti prima di puntare l’indice accusatori­o. C’è infatti solo una situazione peggiore di quella che stiamo vivendo; ed è l’esplosione di forme di egoismo sociale e di anarchia, e il dissolvers­i dell’autorità di chi tiene il timone. Ci sarà tutto il tempo per fare i conti di questa crisi: il panorama politico ne uscirà così stravolto che oggi è inutile per tutti attardarsi nei conflitti di prima. Ora il dovere civico di ognuno di noi è solo di dare una mano, di fare la sua parte, di accettare i sacrifici richiesti. Da molto tempo abbiamo imparato a vivere di soli diritti. È giunto il momento — accade nella storia di una nazione — dei doveri.

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