Il vuoto e i ribelli: Milano alla prova
Code composte per supermercati e negozi, tanti passeggiano all’aperto E in un condominio spunta l’avviso: «Compro io il pane a chi non può uscire» Sui social i commenti ai tavolini troppo pieni dei bar: ecco, si credono furbi
Qualche ribelle, nella Milano isolata per decreto governativo, c’è stato. Ma nel complesso la risposta della città è stata come sempre ubbidiente, composta e senza tante scene. Molti milanesi sono rientrati nel cuore della notte. All’alba bar aperti ma tavolini dimezzati.
«Oggi chiusura ore 18». E poi un asterisco: «*Il coronavirus non c’entra, ho invitato i miei nipoti a cena». Ma il foglietto rimasto appiccicato ieri alla vetrina risale in realtà al pomeriggio di sabato, cioè a «prima». Prima del blocco, prima dell’assalto notturno in Stazione Centrale all’ultimo treno per Yuma, scusate Salerno. Che poi guardandolo a mente fredda è stato un assalto tutto sommato minoritario rispetto al problema vero della stragrande maggioranza dei milanesi in quelle due ore di incertezza seguite alla fuga non dei fuggiaschi ma della notizia del blocco stesso, quelle due ore di «e voi cosa fate?» rimbalzate tra una chat e l’altra quando ancora non si sapeva bene cosa fare, per esempio se chi era via per il weekend sarebbe rimasto chiuso fuori da Milano e «come faccio lunedì per il lavoro?».
La risposta
E infatti, al netto di eccezioni più o meno rilevanti, la risposta complessiva di Milano agli ordini contenuti nel decreto Covid-19 è stata sostanzialmente quella di sempre e cioè ubbidiente, composta, senza tante scene. Moltissimi quelli rientrarti in città sabato, nel cuore della notte. E ieri mattina, per dare un’idea, nella portineria di un condominio di via Macmahon è comparso questo cartello seguito nel corso della giornata da diversi altri simili, in diversi caseggiati: «Buongiorno, abito in Scala G e mi rivolgo agli inquilini che in questo momento hanno difficoltà a uscire per comprare il pane. Ve lo porto io: sono sana, pulita e disinfettata, consegna gratis dal lunedì al venerdì, citofonare Scala G n.79». Dopodiché Milano si è messa all’opera. Il bar Al Domm tra via Moscova e via San Marco, uno dei più mattinieri di Brera, ha diligentemente aperto all’alba: ma con i tavolini dimezzati e ridistribuiti nel pur piccolo locale a distanza di sicurezza. Il titolare Roberto, noto in tutta la zona per la parola in dialetto milanese che scrive ogni giorno su una lavagnetta e se la indovini (sempre impossibile) ti offre il caffè, liquida il discorso in termini molto semplici: «Se una cosa si deve fare si fa». Stessa linea per l’ora di pranzo al Rossopomodoro di Largo la Foppa, dove i (pochissimi) avventori sono stati accolti dall’invito a sedersi «sfalsati»: massimo due persone in tavoli da quattro, una qui e l’altra nella sedia accanto a quella che avrebbe di fronte. Più di un metro anche a occhio. Altri invece hanno proprio tenuto chiuso, come i due bar-bistrot «La Santeria» che stanno agli estremi opposti della città — in viale Tibaldi e all’ortica — e i cui titolari hanno comunicato via Facebook di sentirsi «in dovere di non aprire anche negli orari consentiti affinché la situazione non si aggravi ulteriormente». Dalle 18 di ieri resteranno chiusi fino al 3 aprile: «Andrà tutto bene», hanno scritto per concludere. E il popolo social ha apprezzato: «Bravi, grazie».
Naturalmente c’è chi ha fatto anche il contrario. I tavolini all’aperto, in zone come l’arco della Pace o i Navigli, non sono affatto spariti e in diversi casi sono rimasti anche piuttosto vicini. Per quanto all’aperto, certo. Ma si sa che il tribunale social è spietato: «Ecco quelli che se ne fregano delle regole, e così il virus vincerà. Perché è più furbo dei furbi».
Solidarietà «condominiale» Agli inquilini in difficoltà per comprare il pane, ve lo porto io: sono sana, pulita e disinfettata, consegna gratis dal lunedì al venerdì, citofonare Scala G n.79
I titolari del bistrot Ci sentiamo in dovere di non aprire anche negli orari consentiti affinché la situazione non si aggravi ulteriormente Andrà tutto bene
«Io, “terrone” a Milano» Certo che vorrei tornare a casa ma non è questo il momento di agire impulsivamente. Via all’operazione Felicità: aiuto reciproco tra chi resta Psicologi, il sostegno online All’inizio dell’emergenza facevamo dieci colloqui al giorno. Dall’entrata in vigore del nuovo decreto ne abbiamo fatti quaranta in poche ore
Del resto però i social riservano anche altro, di segno opposto. A fronte di quanti durante la notte erano fuggiti, o ci avevano provato, tanti invece si sono riconosciuti nell’hashtag #ioresto lanciato da Stefano Maiolica già autore del blog «Un terrone a Milano»: «Certo che avrei voglia di tornare a casa — scrive — ma non è questo il momento di agire impulsivamente». E a seguire la sua linea su Instagram sono stati tanti, soprattutto studenti fuorisede. «La chiameremo Operazione Felicità», spiega il blogger: e consisterà in iniziative di aiuto reciproco e proposte di attività non solo per chi resta ma anche per sentirsi vicini, attraverso la rete, a chi in questo periodo sarà lontano per forza.
All’aperto
L’adeguamento alle regole non ha risparmiato la vita religiosa che, già adeguatasi da settimane alle prescrizioni con la rinuncia a messe e funzioni varie (in serata è stato richiuso il Duomo ai turisti), ora ha stretto le maglie con ulteriori indicazioni della diocesi ambrosiana: niente più fedeli genuflessi per confidare i propri peccati a dieci centimetri dall’orecchio del prete, fino a nuovo ordine ci si confessa solo «all’aperto». In compenso in tutta la nuova gigantesca zona rossa del Norditalia una ventina di psicologi si è messa a disposizione per offrire sostegno online (mindwork.it. coordinata dall’ex vicepresidente degli psicologi lombardi Luca Mazzucchelli) a chi pensa di scoppiare: «All’inizio dell’emergenza facevamo dieci colloqui al giorno. Dall’entrata in vigore del nuovo decreto ne abbiamo fatti quaranta in poche ore». Anche solo la metro così deserta in effetti è piuttosto angosciante.
Nel frattempo la mattina di sole ha comunque attirato fuori di casa almeno quanti hanno ritenuto di non violare alcuna norma andando, per esempio, a fare una corsa al Parco Sempione: non pochi. O una passeggiata sui Navigli: abbastanza. O a portar fuori il cane: tutti quelli che hanno un cane, ovviamente. Mentre hanno fatto ordinatamente la fila (all’esterno, ben distanti l’uno dall’altro) i clienti delle catene di supermercati, da Esselunga a Carrefour, che in ossequio alle direttive ricevute hanno disposto il contingentamento degli ingressi: oltre un certo numero di persone si entra solo se qualcuno esce. Chiusi quasi tutti i piccoli negozi e chiusi quelli grandissimi, dalla Rinascente a Decathlon. Su quelli «medi», diciamo così, è invece valsa l’autodisciplina: in una delle vie regine dello shopping domenicale milanese, come via Torino, circa metà delle insegne erano spente. Ma altre no, tipo Calliope, dove comunque «per tutta la mattina — dice la responsabile — non abbiamo visto entrare nessuno: qualcuno giusto ora». O Tezenis dove le commesse in servizio ieri — Valentina, Claudia, Carola — i clienti li hanno contati e «per quanto pochi rispetto al normale almeno non è stato il deserto totale»: 180 alle quattro del pomeriggio. «Ci attendono giorni e settimane difficili — dice il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi — ma la forza di un Paese sono i cittadini e tutte le sue formazioni sociali, non solo la politica e le istituzioni. E noi faremo il massimo di cui siamo capaci».