«Misure pasticciate e ambigue» Le Regioni chiedono modifiche
I governatori attaccano: «Conte ci ha coinvolto tardi» Fontana lo voleva più rigido. Bonaccini: urge chiarezza Ma il Viminale: non tocca a loro dare direttive ai prefetti
Attivare subito, con assoluta urgenza, un tavolo di confronto tra il Governo, le Regioni e le Province autonome. Lo chiede il governatore del Friuli Venezia Giulia con i presidenti di Lombardia, Veneto, Liguria, Sardegna, Piemonte, Sicilia, Abruzzo, Umbria e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano.
Insieme, infatti, hanno sottoscritto una richiesta di confronto immediato, in videoconferenza, con il premier Conte relativamente alle disposizioni dell’ultimo decreto sull’emergenza coronavirus.
Insomma non tutti i governatori, soprattutto quelli del Nord e interessati dagli effetti delle misure del governo, sono soddisfatti. Il governatore della Lombardia Attilio Fonci
ROMA Ritardi, dubbi interpretativi, fughe di notizie e fughe in avanti. Nella lunga notte del decreto che ha isolato la Lombardia e 14 province del Nord, la «concertazione» tra governo e Regioni ha prodotto un insieme di acuti e note stonate. Una cacofonia tale che il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha dovuto riunire i governatori e il ministro della Salute Roberto Speranza e lavorare al «maxi-rattoppo». Vale a dire, l’ordinanza con cui il governo ricuce gli strappi tra le istituzioni e prova a superare le decisioni unilaterali dei presidenti delle Regioni.
Tutto comincia alle tre di domenica mattina, quando Giuseppe Conte scende in sala stampa per illustrare le ultime, durissime norme per frenare la corsa del coronavirus. Alla domanda se «cambierà molto il decreto dopo il confronto con le Regioni», il presidente chiude: «Il confronto c’è già stato». Scelta legittima, per il capo di un esecutivo che si è assunto piena responsabilità di decisioni necessarie e dolorose, ma i governatori sono in rivolta. «Lo abbiamo saputo dai siti web», si è infuriato il leghista Luca Zaia rivelando l’esistenza di un «problema» con Palazzo Chigi.
Il presidente del Veneto racconta che alle 2.30 del mattino, quando si è confrontato al telefono con Fontana e Bonaccini, i tre governatori erano ancora convinti che avrebbero potuto lavorare al decreto fino all’alba: «Ma non ci è stato dato il tempo». I presidenti del tana ha parlato di testo «pasticciato», e lo avrebbe addirittura voluto più rigido.
Stefano Bonaccini (Emiliaromagna) dice che il Dpcm contiene «alcune ambiguità, è necessario e urgente fare chiarezza, a partire dal tema del lavoro e della conseguente mobilità delle persone e delle merci». «Ribadisco la necessità di unità nel Paese per affrontare tutti insieme l’attuale emergenza — ha poi scritto Bonaccini su Facebook — Per questo serve piena collaborazione tra tutte le istituzioni e noi, come sempre, siamo qui per questo».
Collegato da Trieste con il tavolo nazionale per l’emergenza coronavirus, il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha chiesto chiarimenti sull’applicazione del decreto, in particolare per quanto attiene la mobilità tra lavoratori di regioni confinanti, le limitazioni che riguardano gli esercizi pubblici e il divieto di svolgere funzioni religiose come i funerali. Il governatore ha poi sottolineato l’importanza di non introdurre limitazioni alla movimentazione delle meril
e di mantenere pertanto, nei limiti della massima sicurezza della salute pubblica, la produttività del Paese.
Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha criticato il decreto considerando «esagerata e inopportuna» la decisione di definire area rossa le tre province venete. Zaia ha sottolineato che «non è stato interpellato per un parere prima
Il decreto
● Dopo aver preso atto che le prime misure di contenimento del coronavirus non sono riuscite a contenere il moltiplicarsi dei casi venerdì notte il governo ha varato un nuovo decreto legge
● Nel provvedimento la chiusura della Lombardia e di altre 14 province a chi entra e chi esce. Stop anche a discoteche, pub, feste private della definizione del decreto e che l’ultimo contatto con Conte è stato prima di mezzanotte. Roma si metta la mano sulla coscienza perché o ci si fida di un comitato scientifico del governatore oppure no».
Ma è anche il Viminale ad aggiungere una nota di polemica nei confronti delle Regioni: «Ferma restando l’autonomia di ciascun Ente nelle materie di competenza nei limiti della legislazione vigente, non risultano coerenti con il quadro normativo le ordinanze delle Regioni contenenti direttive ai Prefetti, che, in quanto autorità provinciale di pubblica sicurezza, rispondono unicamente all’autorità nazionale». di Guido Bertolaso, il medico che ha diretto la Protezione civile e gestito le grandi emergenze del Paese, dai rifiuti ai terremoti.
L’idea di un commissario con i superpoteri circola da giorni nel governo, dove quei ministri che non hanno ricevuto la bozza del decreto soffrono la mancanza di collegialità. Tra coloro che invocano regole più stringenti c’è Vincenzo Spadafora. Il responsabile dello Sport voleva mettere nero su bianco nel decreto il divieto di far giocare le partite di calcio di serie A nelle zone interdette, ritenendo «irresponsabile» tirar calci a un pallone mentre l’italia agonizza. Ma nella conferenza stampa notturna Conte ha dato il via libera al campionato a porte chiuse, rivelando il contrasto al vertice del governo.
Molta confusione, sul piano decisionale e comunicativo, avvertono anche i settori produttivi, che temono il collasso e si fanno sentire. Confindustria e altre associazioni di categoria sono in pressing sul governo per allentare la morsa sul Nord Italia. La traccia del lavorio delle lobby sta in una parola chiave, cambiata nel testo finale rispetto alla prima bozza: i motivi di lavoro che consentono gli spostamenti erano «indifferibili» e ora basta che siano «comprovati».
E c’è un altro indizio che rivela le tensioni e le pressioni di chi vuole impedire alle industrie del Paese di fermarsi. È la «nota esplicativa» con cui la Farnesina spiega che i «transfrontalieri potranno entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa». Se verranno fermati dalle forze di polizia per un controllo potranno comprovare le loro ragioni «con qualsiasi mezzo», compresa una semplice «dichiarazione».