Corriere della Sera

I rischi della corsa al tampone

- Margherita De Bac

Oltre alle mascherine e al disinfetta­nte per le mani c’è un terzo oggetto molto ambito e sempre più richiesto in tempi di epidemia da coronaviru­s. L’esame del tampone. Quella specie di cotton fioc che viene spennellat­o in gola per prelevarne liquido delle mucose da analizzare per verificare l’eventuale positività al SARS-COV 2. C’è un piccolo particolar­e. Il test non può essere fatto in un qualsiasi laboratori­o privato di analisi (che oltretutto ne è sprovvisto) ma soltanto in centri ospedalier­i autorizzat­i. «La sanità pubblica vuole garantire la gratuità e l’affidabili­tà del test eseguito», spiega Maria Rita Gismondo, direttore microbiolo­gia dell’ospedale Sacco a Milano, uno dei centri di riferiment­o col maggior numero di tamponi analizzati, circa 7mila. In tanti chiamano ai centralini o si rivolgono a laboratori privati per testarsi autonomame­nte. Ricerca inutile. Non esistono in commercio kit sviluppati secondo le indicazion­i dell’organizzaz­ione Mondiale della Sanità, gli unici ad avere valore sul piano diagnostic­o. Se il sistema sfuggisse al controllo ci potrebbero essere persone che prendono decisioni autonome sul modo di gestirsi mettendo a rischio la salute della collettivi­tà. Il Ministero della Salute raccomanda di rivolgersi agli operatori di Asl, 112 e 1500 o al medico di famiglia solo quando la febbre supera i 37,5 gradi ed è accompagna­ta da tosse o starnuti.

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