I rischi della corsa al tampone
Oltre alle mascherine e al disinfettante per le mani c’è un terzo oggetto molto ambito e sempre più richiesto in tempi di epidemia da coronavirus. L’esame del tampone. Quella specie di cotton fioc che viene spennellato in gola per prelevarne liquido delle mucose da analizzare per verificare l’eventuale positività al SARS-COV 2. C’è un piccolo particolare. Il test non può essere fatto in un qualsiasi laboratorio privato di analisi (che oltretutto ne è sprovvisto) ma soltanto in centri ospedalieri autorizzati. «La sanità pubblica vuole garantire la gratuità e l’affidabilità del test eseguito», spiega Maria Rita Gismondo, direttore microbiologia dell’ospedale Sacco a Milano, uno dei centri di riferimento col maggior numero di tamponi analizzati, circa 7mila. In tanti chiamano ai centralini o si rivolgono a laboratori privati per testarsi autonomamente. Ricerca inutile. Non esistono in commercio kit sviluppati secondo le indicazioni dell’organizzazione Mondiale della Sanità, gli unici ad avere valore sul piano diagnostico. Se il sistema sfuggisse al controllo ci potrebbero essere persone che prendono decisioni autonome sul modo di gestirsi mettendo a rischio la salute della collettività. Il Ministero della Salute raccomanda di rivolgersi agli operatori di Asl, 112 e 1500 o al medico di famiglia solo quando la febbre supera i 37,5 gradi ed è accompagnata da tosse o starnuti.