SE LA RAI AIUTA I LIBRI PROVIAMO A FARE DI QUARANTENA VIRTÙ
Il «Padiglione Italia» di ieri, in cui Aldo Grasso chiede alla Rai — con le scuole chiuse — di tornare alla sua vocazione pedagogica originaria, sollecita una aggiunta. Se in genere basta un alito di vento per far soffrire il mercato del libro, figurarsi cosa succede con questa epidemia. Gli editori sono alle corde, e i librai pure: le vendite sono crollate fino al 50% (in Lombardia). Un’altra tegola sulle librerie indipendenti, mentre ne patiscono meno, ovviamente, le vendite online. Com’è possibile? Il tempo a casa si dilata, tutti ci sconsigliano di uscire, e i libri rimangono sugli scaffali. C’è qualcosa che non va: sarebbe il momento giusto per pretendere dalla tv pubblica uno sforzo di immaginazione a favore della lettura? C’era un tempo in cui Fabio Fazio, con un’intervista, riusciva a mandare in classifica scrittori non facili come Arbasino e Meneghello. Non si possono ripetere formule vecchie (vi ricordate Pickwick di Baricco e Zucconi?), ma qualcosa bisognerà pur inventare per riuscire a trasmettere agli italiani il piacere di leggere un buon libro. C’era un tempo in cui Umberto Eco riteneva che andare in televisione con Il pendolo di Foucault avrebbe nuociuto al libro e ne restava alla larga. Era il 1988. Nel 2015, con il suo ultimo romanzo, Numero zero, non mancò una sola trasmissione. Il vecchio semiologo sapeva che ormai per vendere il suo libro (che pure era un bestseller ancora prima di uscire) bisognava comunque affidarsi alla tv. Ma probabilmente sapeva anche lui che non c’è niente di più stucchevole che ritrovare sullo schermo tutte le sere i soliti visi noti, gli scrittori che già sono in classifica da settimane. Trattasi di pubblicità di un libro o di un autore: altra cosa è, come consigliava Beniamino Placido, «comunicare che ogni vero libro è davvero un’avventura eccitante. Non un nuovo tipo di pasta al dente da pubblicizzare (spesso inutilmente) mentre i mandolini suonano con le lacrime agli occhi». Presto, inventiamoci qualcosa. La necessità aguzza l’ingegno. Se facessimo di quarantena virtù?