Oro, cromo, cobalto Il sogno di Vincent «Sarò re dei colori»
La collana Al via domani con il quotidiano la serie sui grandi capolavori dell’arte Si parte con i «Girasoli» di van Gogh. Pennelli sottili, punti luce, contorni scuri per creare contrasto, tubetti spremuti direttamente sulla tela: così il pittore olandese giocava con lacche e sostanze per illuminare i suoi quadri. Correndo qualche rischio
Vincent van Gogh fa venire in mente le Iris blu cobalto e i gialli fiammanti dei Girasoli. Ma la storia dei suoi colori è tormentata come la sua anima. All’inizio, nel periodo olandese, lavora con tinte scure. Dipinge ritratti senza curarsi della somiglianza, fa volti sbiaditi, malinconici, in modo che «alla gente di un secolo più tardi sembrino delle apparizioni». Con mescolanze di bianco e nero ottiene grigi ed effetti di luce per realizzare Il tessitore e soprattutto i Mangiatori di patate, che sembrano dipinti «con la terra in cui seminano». Un quadro cupo, ravvivato dal blu delle ombre.
Nel 1886, a trentatré anni, raggiunge il fratello Theo a Parigi. Conosce Gauguin, Toulouse Lautrec, Signac e la sua pittura assume toni sempre più chiari e vivaci. Il mondo così com’è lo angoscia e usa il colore per ricrearlo. Racconta che cerca consolazione nel dipingere fiori, «papaveri rossi, fiori di campo azzurri, rose bianche e rosa, crisantemi gialli, colori intensi, non più grigia armonia». Sogna di diventare «il re del colore, come nessun altro».
Non si sa perché a febbraio del 1888 lascia Parigi e se ne va ad Arles, al sole della Provenza. Trova una luce limpida e dolci colline fiorite. I colori e «il sole del glorioso Sud» lo incantano. Il giallo del sole diventa la sua ossessione. Perfino l’edificio che prende in affitto è la «Casa gialla». Nascono i suoi quadri più rappresentativi, dove domina il giallo, il Seminatore al tramonto, con quel sole radioso, e i Girasoli, illuminati dal giallo cromo.
Crea i Girasoli tracciando le linee principali col carboncino. Applica una mano leggera di giallo e bianco di zinco per lo sfondo. Imprime pennellate dall’alto in basso e da destra a sinistra formando un intreccio. Lascia libero lo spazio in cui prevede di collocare i girasoli e il tavolo sul quale poggia il vaso. Stende varie pennellate di bianco di zinco sul vaso per ottenere punti luce, sui quali aggiunge giallo cromo. Non prepara i colori sulla tavolozza, li spreme direttamente dal tubetto sulla tela. Poi ci passa sopra una tonalità diversa e col pennello mescola, secondo la tecnica wet on wet, per dare spessore e corposità alla pittura. Non lavora con pennelli grandi. Per lo sfondo usa pennelli larghi mezzo centimetro o un centimetro. Impugna pennelli più sottili, da 3 a 5 millimetri, per tracciare rapidi vortici e incidere solchi. «Non dipinge, aggredisce la tela», secondo Paul Milliet, un militare zuavo con cui è in confidenza.
Da giovane aveva imparato a disegnare. E adesso usa il pennello come se fosse una matita. Traccia linee spezzate, geometriche nel Campo di grano, linee azzurre ondulate nel cielo dell’oliveto, dove sembra che l’aria si muova verso l’alto, linee vorticose nella Notte stellata, dove ricama stelle scintillanti sul blu cobalto del cielo e si sente «un gioielliere che incastona pietre preziose nell’oro».
La gamma dei suoi colori è limitata. Dipinge le foglie dei girasoli con verde smeraldo. Usa giallo cromo, verde smeraldo, bianco di zinco e minio per i petali. Applica una seconda mano di giallo chiaro sullo sfondo. Dipinge in tutto undici quadri di girasoli. Lui stesso ci informa che quello conservato nella National Gallery di Londra presenta «tre gradazioni di giallo cromo, ocra gialla e verde Veronese». Sono visibili anche tracce di blu oltremare, blu di Prussia e blu cobalto usati per tracciare la firma Vincent e la linea divisoria fra il tavolo e lo sfondo. La linea blu si ritrova spesso, gli serve per contornare i petali, gli steli, le foglie allo scopo di esaltare il contrasto. I colori in tubetti glieli manda suo fratello Theo che li acquista a Montmartre nella bottega Tasset et L’hòte. Nello stesso negozio Theo compra rotoli di tela già preparata con uno strato di gesso bianco. Vincent la ritaglia e la monta sui telai di legno.
Un colore che lo appassiona è la lacca geranio che regala una lucentezza straordinaria dovuta alla presenza di eosina, una
La minaccia del tempo
«Le tinte erano poco stabili: il giallo cromo, così amato da van Gogh, con la luce diventa verde» spiega Costanza Miliani del Cnr
Materiali da Parigi
Theo manda al fratello i colori che acquista in una bottega di Montmartre e le tele che poi lui ritaglia e monta sui telai di legno
sostanza sintetizzata la prima volta nel 1873. Purtroppo la struttura molecolare dell’eosina è molto instabile e si deteriora velocemente. Costanza Miliani ha studiato i dipinti di van Gogh con gli strumenti tecnologici del Molab, il laboratorio mobile del Cnr, di cui è direttrice. Spiega al «Corriere» che «l’eosina sbiadisce prima nello strato superiore, direttamente colpito dalla radiazione luminosa, ma siccome è un colore molto trasparente, il danno investe anche le parti sottostanti». Lo stesso van Gogh era consapevole che il tempo avrebbe danneggiato le sue opere. Diceva che «i dipinti svaniscono come i fiori».
Vira verso il grigio soprattutto il colore più amato dall’artista, il giallo cromo. Alla fine del Settecento, nelle cave dei monti Urali fu scoperto un minerale dallo splendore mai visto, sembrava il colore per eccellenza e fu chiamato cromo, dal greco chroma, che significa, appunto, colore.«gli industriali dell’arte — racconta Costanza Miliani — offrivano ai pittori comodi tubetti che però contenevano prodotti poco stabili. In particolare il giallo cromo, amato da van Gogh per la sua luminosità, sotto l’effetto della luce degrada da cromo 6 a cromo 3, diventa verde».
Oggi vediamo colori senza brillantezza. Ma la scienza viene in soccorso dell’arte. Dopo aver individuato i pigmenti dei dipinti Campo con iris vicino Arles e Camera con letto, è stato ricreato con tecnologia digitale lo splendore dei colori originali.