Tutto il mondo in una tela Così l’opera svela l’artista
Dalla «Canestra» di Caravaggio a Vermeer Quando un quadro diventa simbolo di un’era
Ogni artista ha il suo capolavoro-simbolo, l’opera che più di ogni altro lo rappresenta o almeno quella che più rapidamente viene collegata al suo nome. Persino i contemporanei più trasgressivi e anticonformisti. Come non associare, ad esempio, Andy Warhol alla minestra in lattina(32 Campbell’s Soup Cans,1962), Damien Hirst al suo squalo tigre in formaldeide (The physical impossibility of death in the mind of someone living, 1981), Jeff Koons al suo Balloon Dog del 1993 (cane gonfiabile in plastica arancione da 58,4 milioni di dollari), Maurizio Cattelan al water da 103 chili d’oro 18 carati (America, 2016).
Nasce da questa idea la nuova collana del «Corriere» introdotta da Philippe Daverio che, partendo da un capolavoro-simbolo, traccia con ironia e intelligenza il ritratto di un grande maestro dell’arte. Se le forme contorte dei petali e degli steli dei Girasoli, rappresentati in ogni fase della loro fioritura (dal bocciolo all’appassimento), possono essere interpretate come un segno di tormento di van Gogh, un tormento testimoniato dalle dolenti lettere inviate da Vincent al fratello Theo), con la Canestra di frutta (al centro del prossimo volume) Caravaggio si auto-proclama iniziatore ed innovatore del concetto di natura morta, non più confinata nel ruolo di «genere secondario» . Come certificherà il marchese Vincenzo Giustiniani(1564 – 1637), che aveva redatto una lista dei generi pittorici suddivisa in dodici livelli (ponendo la natura morta solo al quinto posto), in una sua lettera al cardinale Federico Borromeo: «Il Caravaggio disse che tanta manifattura gli era fare un quadro buono di fiori come di figure». Come spiegherà, più tardi, il grande storico dell’arte e critico Roberto Longhi (18901970) nella sua monografia Caravaggio (1952): «La Canestra riesce ad eliminare la distinzione rinascimentale che vedeva agli opposti margini l’elevatezza della natura umana e l’“inferior natura”».
Così, forse anche senza conoscere troppo l’arte, si può dunque subito associare la Nascita di Venere alla maestria rinascimentale di Botticelli (pittore del sacro e del profano che con il suo stile elegante ha proposto un nuovo modello di bellezza ideale, adatto alla raffinata società del Rinascimento); il Compianto su Cristo morto a Giotto (l’artista che «ridusse al moderno» la pittura); la Merlettaia a Vermeer
Velázquez ne «Las meninas» non fa «solo» un ritratto ma ci mostra quello che non si vede, l’estetica e la politica
(grande raccontatore di un mondo silenzioso, di una quiete solo apparente, fatta di mistero e attesa»); la Tempesta a Giorgione (il genio quattrocentesco della natura e del sentimento); il Giardino delle delizie a Bosch (grande creatore di visioni surreali affollate di figure grottesche, bizzarre e mostruose, che suscitano stupore e fanno riflettere sui lati oscuri e irrazionali della vita).
Quelle stesse opere rappresentano però anche la chiave perfetta per entrare nel mondo che circondava gli artisti. Perché quando, verso il 1656 Velázquez crea un’opera fondamentale dalla bellezza enigmatica come Las meninas, non dipinge «solo» un ritratto della piccola principessa Margherita, raffigurata al centro con un abito bianco, e delle sue dame di compagnia (sono loro le meninas), ma anche il ritratto dei genitori di Margherita, Filippo IV e Marianna d’austria (i busti dei sovrani sono riflessi nello specchio in fondo alla stanza). E, tanto per non farsi mancare niente, Velázquez aggiunge persino il suo autoritratto (in piedi, con il pennello in mano davanti a una grande tela su cui è intento a dipingere, appunto, il ritratto del re e della regina). Tutto per mostrarci anche quello che normalmente non si vede, l’estetica come la politica.
Raffaello (la Madonna della Seggiola), Klimt (Le tre età), Renoir (Ballo al Moulin de la
Libere associazioni Come non legare Andy Warhol alla zuppa in lattina o Hirst allo squalo in formaldeide?
Galette), Michelangelo (Tondo Doni), Tiziano (Amor sacro e Amor profano), Monet (Impression, Soleil levant), Leonardo (la Gioconda), Gauguin (Donne di Tahiti), Piero della Francesca (Sacra conversazione), Canaletto (Palazzo Ducale e piazza San Marco), Manet (Olympia), Degas (L’orchestra dell’opera): a ognuno, dunque il suo capolavoro-simbolo, il suo sguardo, il suo mondo. Alla ricerca di un’arte che non insegua soltanto il sogno di un’opera perfetta ma l’idea stessa della vita.