Corriere della Sera

Aaron e Paulo non perdonano Conte, il ritorno è amarissimo

«Siamo ancora distanti da loro»

- Uventus e Inter in campo a tutti costi e senza pubblico. Tocca a Guida e Mazzoleni (Var) regolare una sfida difficile sulla carta e complicata per tradizione antica. Gioco robusto, corretto e senza proteste. Palloni sul braccio, nelle aree, di Young e Bon

Due tute, di intensità decrescent­e: Maurizio Sarri blu elettrico («Vittoria importante, venivamo da una sconfitta con il Lione per mancanza di energie nervose, l’inter ha speso molto nel primo tempo, dopo l’1-0 l’inerzia era dalla nostra parte e non abbiamo regalato niente: ora la Juve si avvicina a quello che voglio io. Per il futuro mi chiedo: è giusto togliere due ore di svago alle persone in questo clima?»), Antonio Conte blu notte («Partita equilibrat­a, il gol di Ramsey ha cambiato tutto: loro cresciuti, noi abbiamo subito. E non siamo stati capaci di riprenderc­i. Devo essere positivo: con la Juve persi 6 punti ma ci servirà per crescere»).

Una cicca di sigaretta (Sarri) e una frangia (Conte) da tormentare. Molte urla che di solito finiscono assorbite dal rombo del tifo (nell’ordine: «Torna, tira, botta, daiiiii»). E ventidue ragazzi che si ostinano a inseguire il pallone in un campo vuoto che senza il rumore sembra enorme. Uno di loro, il n. 1 dell’inter, torna in questo mega oratorio dall’erba perfetta dopo 38 giorni con un dito steccato, il mignolo della mano sinistra, ed è subito decisivo. Tre volte Handanovic: un guizzo su De Ligt, una piccola parata su Ronaldo (di CR7 il gesto iconico della serata: quel «cinque» dato all’aria entrando nello Stadium, come se ci fossero due ali di tifosi), manona su Matuidi. Al 9’ del secondo tempo, però, il capitano non può nulla sul tiro ravvicinat­o di Aaron James Ramsey da Caerphilly nell’omonima contea, sporcato da De Vrij.

Il gallese si ricorda di fare gol nelle partite che contano. Tre al Tottenham con la maglia dell’arsenal, la squadra che lo accolse ragazzo e che lasciò uomo. Uno alla Spal alin

d Sarri La Juve che voglio io? Per energia si è avvicinata molto, per il gioco nell’azione del secondo gol

la vigilia del contropied­e del Coronaviru­s, quando era un altro campionato, un altro calcio, un altro mondo. Wenger è il suo profeta («Ha creduto in me quando avevo 18 anni e venivo dal Cardiff City»), da Londra si porta dietro una leggenda metropolit­ana (ogni volta che segna lui, una celebrity muore: Steve Jobs, Robin Williams, David Bowie); Sarri, che ha buona memoria inglese, gli dà fiducia. E fa bene perché Ramsey entra anche nel secondo gol della Juve: scambio, dribbling area e tiro di Paulo Dybala, entrato da otto minuti dalla panchina («Importanti­ssimo nel momento decisivo: Paulo può devastare una partita» dice Sarri) con in testa un esterno sinistro sul palo più lontano.

Tra quelli che ritornano, c’è Antonio Conte. Tre scudetti con la Juve, due stagioni sulla panchina dell’italia e due anni al Chelsea dopo, per un totale di 2121 giorni, il caudillo entra nello Stadium che aveva salutato il 18 maggio 2014, in cima a un campionato vinto in bianconero con 102 punti (record europeo) e impreziosi­to dall’imbattibil­ità casalinga. Ma non è serata: non valgono né la tattica né i ricordi. La Juve non ha riguardi per nessuno, soprattutt­o per il passato.

Primo colpo Aaron Ramsey segna il gol dell’1-0 anticipand­o anche Cristiano Ronaldo. Contro l’inter il gallese ha firmato la terza rete in serie A (Getty Images)

d Conte Eravamo in controllo, poi il gol di Ramsey ha cambiato la partita: loro sono cresciuti, noi siamo calati

Il devastator­e

Sarri elogia Dybala: «Importanti­ssimo nel momento decisivo, sa devastare le partite»

sparsi su tutto il suo potenziale. Se Lautaro e Dybala erano in gara, ha stravinto Dybala. È uno dei pochi attaccanti a non aver bisogno della squadra, si aiuta da solo. Ma ad essere giusti, il riferiment­o più ampio non è Lautaro, è Eriksen. È lui che dovrebbe essere l’uomo in più come è stato Dybala. È stata quella la differenza più grande nel silenzio dello Stadium. L’impression­e è che Eriksen non capisca dove stare, cosa fare e forse nemmeno in che tipo di avventura si trovi. È quasi spaventato di entrare nella gara. E Conte è quasi spaventato dal mandarlo in campo. Si riapre così non il campionato della Juve, ma la sua speranza di gioco. Perde centralità il progetto dell’inter, come era accaduto lentamente anche prima del virus che ci isola tutti.

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