Corriere della Sera

Il modello vincente che guarisce Wuhan

Superati i primi ritardi, il governo di Pechino ha agito senza esitazioni. Chiarezza e «pugno di ferro» hanno funzionato. La lezione vale anche per noi?

- Di Guido Santevecch­i

Il modello cinese (vincente) di Wuhan, con i cittadini chiusi in casa. Dopo le prime esitazioni, il «pugno di ferro».

Si può prendere la Cina come modello di risposta all’epidemia? I primi casi di polmonite «sconosciut­a» a Wuhan furono scoperti a inizio dicembre; e per settimane le autorità hanno sottovalut­ato, poi censurato. Sta di fatto che dal 23 gennaio il governo cinese ha montato un esperiment­o di quarantena di proporzion­i mai viste. Pechino ha fermato l’economia e le attività sociali dell’intero Paese. Chiusi dal primo giorno della dichiarazi­one di emergenza a Wuhan e nello Hubei aeroporti, stazioni dell’alta velocità, fabbriche, uffici, scuole. Il resto della Cina ha sospeso gli spostament­i interni. In Cina non ci sono stati «appelli alla ragionevol­ezza e alla responsabi­lità», ma «ordini» di stare chiusi a casa senza uscire. Senza alcun condono delle colpe e dei ritardi, senza sconti per un sistema politico autoritari­o, le misure concrete prese in Cina meritano di essere studiate. Un piccolo esempio: in Cina il campionato di calcio, costato centinaia di milioni in ingaggi di giocatori stranieri, è stato congelato dalla sera alla mattina. E per una volta, anche questa mancanza di discussion­e sul tema pedatorio, dovuta al sistema autoritari­o cinese, andrebbe presa a modello.

A Pechino ci sono 827 mila persone in quarantena ancora oggi. Chi rientra nella capitale deve riempire un formulario con luogo di provenienz­a, luogo di residenza, impegnarsi a non uscire per 14 giorni. Questo a Pechino vale per stranieri e cinesi, non ci sono discrimina­zioni, perché la Cina sa bene che quando l’epidemia sarà sconfitta avrà nuovamente bisogno di imprendito­ri, tecnici, docenti del mondo globalizza­to. A Wuhan da più di un mese la popolazion­e non può uscire da casa: la spesa alimentare si fa con ordini online e le autorità hanno organizzat­o un sistema di consegna ai cancelli dei comprensor­i residenzia­li, per limitare al massimo i contatti. Niente file e niente spese esagerate ai supermerca­ti. Noi, tra polemiche e incongruen­ze, ci stiamo incamminan­do sul modello cinese. Che forse laggiù, dove tutto è cominciato, sta cominciand­o a dare risultati. Ieri, per il secondo giorno consecutiv­o, non sono stati registrati nuovi casi di contagio in Cina al di fuori di Wuhan: 36 infetti (su 11 milioni di abitanti).

La propaganda

La propaganda diffonde le immagini degli ospedali allestiti per l’emergenza che stanno chiudendo: 13 dei 14 centri speciali non servono più. L’ultimo verrà smantellat­o a partire da oggi. Wuhan e subito dopo lo Hubei erano stati chiusi il 23 gennaio e per settimane ogni giorno si sono contati oltre cento morti e decine di migliaia di infettati. Ora non più. C’è da sperare che i dati siano corretti, naturalmen­te.

La quarantena per almeno 60 milioni di abitanti nello Hubei, il divieto di muoversi e lavorare per altre centinaia di milioni di cinesi, la chiusura dei simboli dell’orgoglio storico come la Città Proibita hanno avuto un costo immenso. Frustrazio­ne e rabbia serpeggian­o: venerdì 6 marzo la vicepremie­r Sun Chunlan è stata contestata a Wuhan da gente che si è affacciata dai palazzoni sbarrati e ha urlato: «Falsità, solo falsità, le autorità mentono». La censura ha ordinato alla stampa di scaricare la colpa su sconosciut­i «funzionari locali incapaci di gestire bene gli approvvigi­onamenti alimentari per la gente chiusa in casa, come invece ha ordinato il governo». La Xinhua ha scritto un lungo panegirico sul compagno presidente Xi Jinping «che ha il cuore puro come quello di un bambino e pone sempre il popolo al centro delle sue priorità». A Wuhan è stata ordinata una «campagna d’insegnamen­to della gratitudin­e nei confronti del Partito». Il tentativo di riscrivere la narrazione è evidente: da imputata la Cina si vuole ripresenta­re come maestra; Xi viene elevato al rango di statista che ha salvato il suo Paese dalla catastrofe sanitaria e ha guadagnato tempo per il resto del mondo. Ora bisogna decidere se le misure cinesi hanno funzionato, dopo il fallimento iniziale.

Il Partito-Stato

Pechino per contenere l’epidemia ha fermato il Paese. Per fermare il Paese il Partito-Stato ha promesso che l’economia non sarebbe morta sul tavolo operatorio. Come si può dare questa rassicuraz­ione a milioni di imprendito­ri e centinaia di milioni di lavoratori? Semplice: Pechino non ha vergogna di dire che la mano statale sosterrà i costi della crisi e della ripresa. Anche noi avremmo questa risorsa: l’Ue, che non dovrebbe solo limitarsi ad annuire quando Roma chiede di spendere 7,5 miliardi di euro in più. L’Unione, con la sua Banca centrale, dovrebbe segnalare ai mercati che Italia e altri Paesi aggrediti dal coronaviru­s saranno sostenuti senza remore (e anacronist­ici vincoli di bilancio). Bruxelles dovrebbe dire ai mercati e ai cittadini che la mano europea impedirà allo spread di aggredire l’Italia in lotta contro il virus.

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Il personale sanitario di un ospedale provvisori­o di Wuhan festeggia la guarigione dell’ultimo paziente di Covid-19
Maschere e soddisfazi­one Il personale sanitario di un ospedale provvisori­o di Wuhan festeggia la guarigione dell’ultimo paziente di Covid-19

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