«L’artico si scioglie Io, al lavoro tra i ghiacci per il futuro del pianeta»
Marco Tedesco, docente alla Columbia: serve subito un trattato
M arco Tedesco è un «ragazzo del Sud» di 48 anni, napoletano cresciuto ad Avellino. A luglio farà per la quindicesima volta le valigie per la Groenlandia. Il suo mestiere è studiare la neve e il ghiaccio, lassù, e cercare di capire cosa stia succedendo (e cosa accadrà) al nostro pianeta. Professore alla Columbia University e ricercatore presso il Goddard Institute for Space Studies della Nasa, da anni vive a New York e chissà se tornerà mai in quell’italia che l’ha formato ingegnere elettronico alla Federico II di Napoli e poi all’istituto di onde elettromagnetiche «Nello Carrara» a Firenze («benissimo, professionalmente e umanamente»), e infine lo ha lasciato andar via.
«Il mio tutor a Firenze mi disse “abbiamo due progetti per il dottorato, dovrei darti quello sul mare, visto che sei meridionale, ma per il telerilevamento via satellite del manto nevoso ho più fondi...” È iniziato tutto per caso». E così, stimolato da una mamma che gli diceva «basta che tu sia felice» e da una (ex) suocera che lo spronava a bussare alla Nasa, Marco a 28 anni è finito in America e ha esplorato più volte Groenlandia, Artico e Antartide. Fino a diventare uno dei massimi esperti di ghiaccio al mondo.
«Qui alla Columbia, dove lavoro da qualche anno, mi occupo di analisi delle calotte polari, telerilevamento e campagne di misure a terra, ma studio anche l’impatto del cambiamento climatico sull’economia e sui mercati finanziari». La prossima estate torna in missione. «Arriverò nel punto dove sbarcò Erik il Rosso e chiamò l’isola Groenlandia, Terra verde. Con una barca di pescatori raggiungeremo l’unica foresta della Groenlandia, mille chilometri quadrati. Campioneremo gli alberi per “vedere” le variazioni del clima e confrontare i dati con i modelli teorici. Poi ci sposteremo per raccogliere campioni di acqua, ghiaccio e neve più a nord e valutare la presenza di microplastiche. E analizzeremo quanto il ghiaccio riesce a riflettere la radiazione solare perché, con la temperatura, è la prima causa di fusione dei ghiacci».
Con la modifica della circolazione atmosferica nell’artico, il polar vortex è diventato più sinuoso, un’alterazione che ha favorito condizioni anticicloniche. Cioè lunghe giornate di sole, senza nuvole. E più il ghiaccio fonde, soprattutto d’estate, più energia solare assorbe perché diventa fuligginoso. «Molti pensano che il ghiaccio sia bianco come la neve. In realtà è come la pelle d’elefante, ha decine di migliaia di anni e nel tempo si sono depositate enormi quantità di polveri sottili, cenere degli incendi da Cina o California, sabbia del deserto, detriti locali e delle rocce, detriti meteoritici e polveri di Chernobyl. Particelle piccole e scure che assorbono più radiazione solare. Creano piccole pozzanghere nelle quali questi resti si uniscono tra loro fino alla dimensione di mezzo metro, in forma di cilindri, al cui interno c’è vita, batteri e alghe. Qui vivono gli orsetti d’acqua, microrganismi che non muoiono mai. Gli scienziati li hanno bolliti, schiacciati, congelati e fatti rinascere 30 anni dopo, mandati nello spazio e non muoiono. Sono le creature più resilienti dell’universo per quel che sappiamo». Ci sopravviveranno?
Modelli teorici «Campioneremo gli alberi per vedere le variazioni del clima e fare i confronti»
«Eh, sì. La Nasa ci sta finanziando una ricerca per capire se si trovino questo tipo di forme su Marte».
Perché in Groenlandia? «Perché è fondamentale per capire gli impatti del cambiamento climatico. Il 30% del contributo annuale all’innalzamento dei mari è dovuto alla fusione dei ghiacci della Groenlandia. Ed è un fattore in aumento e accelerazione. Per ora, è secondo per importanza all’espansione termica degli oceani, che assorbono la maggior parte del riscaldamento globale e quindi si espandono, come una mongolfiera quando l’aria viene riscaldata. Ma le proiezioni indicano che nei prossimi 30-50
● Marco Tedesco (foto in alto), nato nel ‘71, è glaciologo e insegna alla Columbia University
● Ha scritto con Alberto Flores d’arcais «Ghiaccio, viaggio nel continente che scompare» (Il Saggiatore, 15 euro)
● La prossima estate tornerà in missione, visitando l’unica foresta della Groenlandia anni il fattore principale diventerà la fusione dei ghiacci in Groenlandia e in Antartide, quest’ultimo ancora allo stato dormiente ma tutti i dati indicano che anche lì ci sarà un’accelerazione».
E poi c’è l’apertura del passaggio a Nord-ovest alle rotte commerciali, con la fusione del ghiaccio marino in Artico. «Mancano infrastrutture per la salvaguardia dell’ambiente, chi garantisce che se avvenisse un incidente sarebbe correttamente comunicato e monitorato? Non credo sia una priorità per le grandi compagnie. L’impatto sull’ambiente delle navi è enorme, anche per l’inquinamento acustico: seguono le stesse rotte di animali come la balena beluga e confondono le rotte migratorie. L’artico è una risorsa che mostra la bellezza, la diversità, la poesia del nostro pianeta quando è incontaminato. Serve un trattato per proteggerlo, come il Trattato Antartico di 60 anni fa».
Marco dice di non essersi mai guardato indietro. «Ho due figlie, la mia vita a New York». Ma cita l’italia spesso, si rammarica: «Il problema non è solo lo stipendio, ma la capacità organizzativa, i fondi... è complicato trasferire il know how in Italia. Ho sempre cercato di tornare, ma mi sono scontrato con vari muri. E ora la Columbia ha annunciato la creazione della prima Climate School al mondo. Si preannuncia un investimento nei prossimi 5 anni fino a 1 miliardo di dollari. È entusiasmante veder nascere una struttura simile». Allora, possiamo dire alla tua mamma che sei felice delle scelte fatte? «Si, sono felice».
Traffico
Le rotte commerciali passano a Nord-ovest e l’impatto del traffico delle navi è enorme