Tosse e letteratura, il rapporto che c’è
Un piccolo classico di Fabio Mauri, appena riproposto da Longanesi (a trent’anni dalla prima uscita), si intitola 21 modi per non pubblicare un libro. È rivolto ai «manoscrittari» che sottopongono le proprie opere inedite alle case editrici. Nella prefazione, Umberto Eco, che se ne intendeva di editoria, con la consueta ironia calcolava (ma non c’era ancora la posta elettronica che avrebbe facilitato e moltiplicato gli invii) che almeno 50 milioni di italiani per generazione, cioè ogni 25 anni, producono almeno un manoscritto nel corso della loro vita terrena. È noto, però, che in genere lo producono senza leggere mai un libro altrui: se così non fosse, quei 50 milioni andrebbero a rinforzare di molto il fragile mercato editoriale. Intanto, benché le cose siano molto cambiate negli ultimi anni, all’aspirante autore andrebbe comunque consigliato il libro di Mauri, che lavorò per un ventennio con Eco alla Bompiani: imparerà almeno quali sono gli errori clamorosi nell’accostarsi all’editore. Ma soprattutto gli sarebbe utile un altro libro recente: Per scrivere bene imparate a nuotare (Mondadori) del grande Giuseppe Pontiggia. Il quale suggerisce di imitare il nuotatore professionista: allenarsi, allenarsi, allenarsi, impadronirsi della tecnica, imparare dai grandi maestri (Pontiggia è uno dei maggiori). Segue una ricca (e arguta) serie di osservazioni sul mestiere di scrivere. Tutta da leggere. Del resto, non c’è scrivere senza leggere: questa è l’unica regola irrinunciabile. Il resto non sono regole ma esempi e interrogativi aperti. Eccone alcuni su cui l’aspirante può riflettere. Perché Kafka, nel Castello, passa dall’«io» delle prime stesure alla terza persona (K.). Perché Eliot ritiene che scrivere è fuggire dall’emozione. Cosa intendeva Manzoni quando diceva che l’arte ha per scopo l’utile, per mezzo l’interessante e per oggetto il vero. Perché è importante avvincere il lettore ma non è sufficiente. Perché per Oscar Wilde il tramonto è una modesta imitazione di un quadro di Turner. Perché, anche in letteratura, una medicina efficace diventa nociva se si sbagliano le dosi. Perché la «calda estate» è più calda dell’«estate calda». Perché lo stile è un problema economico. Come mai l’ossimoro ebbe scarsa popolarità al termine dell‘800. Infine, una domanda di stringente attualità: che rapporto c’è tra i colpi di tosse del lettore e la letteratura?