L’italia che resta a casa, città svuotate e scritte: «Ci vediamo il 3 aprile»
Dopo la corsa notturna a fare la spesa, ieri la Capitale si è svegliata senza ingorghi e con la Fontana di Trevi vietata ai pedoni Addio tavolate: le trattorie aperte portano le fettuccine a domicilio
Piazze vuote, strade deserte. L’italia resta chiusa in casa. A Roma l’asse dei Lungotevere libero come in piena estate, piazza Venezia senza l’ingorgo fisso, gran dispiego di vigili. Metropolitana semivuota. Rare file alle fermate dell’atac. Chiusa San Pietro. Anche a Milano i mezzi pubblici vedono pochissimi passeggeri, il 70% in meno dai giorni pre coronavirus.
«Il modulo? Quale modulo?» Dopo giorni di notiziari televisivi sulle zone rosse del Nord, ieri Roma si è svegliata sotto un cielo blu cobalto e dal racconto virtuale è precipitata nel reality dell’emergenza coronavirus. Pattuglie di vigili urbani, polizia e carabinieri (in zone strategiche come piazza Mazzini o via Cristoforo Colombo, Ostiense, san Giovanni) hanno fermato romani in macchina (moltissimi con le mascherine alla guida) chiedendo l’autocertificazione dello spostamento e di quale urgenza si trattasse. Sbalordimento. Spiegazioni che «tutti a casa» non è uno slogan ma un obbligo. Nel pomeriggio dalla questura e dai vertici delle altre forze dell’ordine è arrivata una indicazione ferrea: controlli serrati su spostamenti e autocertificazioni, tutti a casa significa solo e soltanto tutti a casa. Anche a Roma.
La prima reazione della Capitale all’annuncio di Giuseppe Conte di lunedì sera è stata identica a quella di altre città del centro-sud: il rituale assalto notturno al supermercato. File serali davanti a quelli aperti fino a tardi in via Aurelia, Casal Palocco o in via Tuscolana. Qualche ressa. Molte foto sulla Rete. Ma ieri mattina presto Roma ha subito mostrato la sua millenaria capacità di metabolizzazione. Verso le 9 strade semivuote, l’asse dei Lungotevere libero come in piena estate, piazza Venezia senza l’ingorgo fisso, il gran dispiego di vigili urbani ha contribuito al miracolo, complice la chiusura delle scuole e di non pochi uffici privati. Metropolitana semivuota. Rare file alle fermate dell’atac. Ma Roma è Roma, c’è sempre il risvolto grottesco: l’azienda pubblica di trasporti ha deciso l’isolamento degli autisti, le porte anteriori non si aprono più e molti conducenti hanno creato «isole» per l’area guida usando la plastica arancione degli eterni cantieri delle buche o i bandoni di plastica stesi dai vigili urbani per i divieti di sosta eccezionali. Un rimedio de noantri sfilacciato e balordo.
L’assalto sotto le stelle ai banconi degli alimentari, col passare delle ore, si è trasformato in un approccio più rilassato, con i servizi d’ordine delle guardie private assoldate dalle marche della grande distribuzione: tutti in fila, ad almeno un metro di distanza come da regole, ingressi a scaglioni ordinati, precedenza a persone anziane o a donne in attesa. Stessa procedura davanti alle farmacie. La folla che di solito si trova all’interno dei locali, si fraziona sui marciapiedi. Davanti a una nota farmacia in viale Aventino, un uomo di mezza età mormora: «Va bene tutto, ma due giorni fa stavo nella calca a Porta Portese». Già. Perché nella Roma che fino all’annuncio di Conte di lunedì sera aveva cancellato l’emergenza, è accaduto anche questo: non solo i gruppi di adolescenti nei locali della movida con la complicità di incoscienti titolari preoccupati unicamente di far cassa (dieci sonore multe, e sono poche) ma anche migliaia di romani intruppati nel solito corpo a corpo tra i banchi di Porta Portese per godersi la bella domenica mattina. Altro che movida. Col passare delle ore, e prima del richiamo del pomeriggio, il traffico è aumentato e sono cresciuti i segnali di normalità. Furgoni impegnati nel carico e scarico in mezzo alla strada col metodo romanesco del «minutino» («un minutino e mi tolgo...», con corsetta da copione). L’impagliatore di sedie di via Sabotino col suo banchetto sul marciapiedi come in un giorno qualsiasi. Ma tante notizie hanno ricordato l’emergenza: la chiusura della Basilica e di piazza San Pietro, la circolazione dei turisti e dei pedoni vietata intorno a Fontana di Trevi — due simulacri di Roma, una sonora sveglia alla Capitale — mentre da lunedì sono inaccessibili Colosseo, Fori Imperiali, Foro Romano e Palatino.
Nei bar, caffè serviti a distanza doverosa,
Bus, gli autisti si isolano con i pannelli di plastica usati nei cantieri stradali
spesso segnalata con i nastri adesivi a terra. Molti locali hanno optato per la chiusura, come l’antica trattoria Sora Margherita in piazza Cinque Scole («ci vediamo il 3 aprile») o le prime gelaterie appena riaperte e già chiuse, come Miami, notissima tra Monteverde e Trastevere (cartello: «per contribuire a migliorare la situazione attuale»).
Tanti ristoranti si riciclano: dal servizio ai tavoli alla consegna a domicilio, ben sapendo che la stagione delle tavolate tra amici e parenti chissà quando tornerà. «Da Fortunata» in corso Rinascimento ecco piatti di fettuccine fatte in casa take away preparati dalla sorridente addetta che impasta in vetrina. Grande fermento distributivo nelle abitazioni dei romani in tante macellerie di quartiere: polpette, arrosti, polli pronti. Ma le abitudini capitoline registrano anche cambiamenti più profondi. La sospensione del rito della Messa domenicale proprio qui, nella Città dei Papi: la pratica cattolica è da tempo in crisi, la frequenza sta calando di anno in anno e c’è chi teme che molte parrocchie potrebbero riprendersi con immensa fatica dall’effetto coronavirus. E poi, amarissima, la scomparsa dell’addio collettivo a chi se ne va. Cioè a chi muore, per usare un verbo più duro. Niente funerali religiosi, di tutte le fedi, e nemmeno commiati laici con abbracci tra parenti e amici. Chi muore se ne va dall’ospedale o da casa direttamente col carro funebre verso uno dei cimiteri cittadini. Più di una rimozione.