CI SIAMO RESI CONTO CHE UNO STATO CI VUOLE
Caro Aldo, ma a noi italiani manca davvero il «rispetto delle regole» come ha scritto il New York Times? Già il «senso di appartenenza» era andato perduto con l’8 settembre e la sconfitta del regime fascista, ci mancava solo il coronavirus per metterci alla prova di cosa non siamo più. Al punto che l’attuale governo ha dovuto obbligarci a stare in casa una volta aperto il vaso di Pandora visto che non comprendevamo la gravità della situazione. Davvero il senso del dovere verso lo Stato di pochi è stato sostituito da quello dello stipendio e del portafoglio dei più?
L
Caro Mario, a citazione del New York Times cui lei fa riferimento è tratta da un passo di Luigi Barzini. E in effetti noi italiani siamo abituati a considerare lo Stato come altro rispetto a noi. Avvezzi a essere governati da stranieri, o comunque da signori assoluti, tendiamo a considerare i poliziotti come sbirri al servizio non nostro ma di altri, e gli esattori del fisco come tanti sceriffi di Nottingham. Però la storia d’italia non può essere ridotta a questo. Il Piemonte e il Triveneto, ad esempio, sono state nazioni sovrane e indipendenti per mille anni. Lei forse sa che non sono un ammiratore dei Borbone; va riconosciuto però che erano ormai diventati napoletani, e non potevano essere considerati come sovrani stranieri.
Oggi, però, noi italiani in fondo ci assomigliamo: la sfiducia verso lo Stato ci accomuna; e lo Stato si comporta a volte in modo tale da confermare i pregiudizi negativi che coltiviamo nei suoi confronti. Eppure momenti drammatici come questi ci ricordano che uno Stato ci vuole. Che lo Stato in fondo siamo noi. Forse i veri ricchi che stanno a Montecarlo, senza contribuire alla comunità a cominciare dalla salute, dai respiratori degli ospedali, dagli stipendi di medici e infermieri, in questi giorni un poco si vergognano. Magra; ma sarebbe una consolazione.