«Welfare, subito un piano per aiutare il non profit»
Fosti (Fondazione Cariplo): 150 milioni di attività filantropica nel 2020
«In un momento come questo le istituzioni hanno un ruolo fondamentale. Sono un ancoraggio e un punto di riferimento per le persone e le comunità». Giovanni Fosti, 52 anni, da 9 mesi è presidente di Fondazione Cariplo. Un patrimonio di circa 8 miliardi, la cui gestione, l’anno scorso, ha generato risorse per circa mezzo miliardo che andranno all’attività filantropica e anche a consolidare le erogazioni per il futuro. Con partecipazioni azionarie che vanno da Intesa Sanpaolo alla Cdp. «Per il 2020 l’attività filantropica si manterrà attorno ai 150 milioni. Risorse che ci consentono di svolgere il nostro ruolo: stare vicino al Terzo Settore, che da sempre ha un compito fondamentale per il Paese, arrivando a migliaia di persone che beneficiano di progetti concreti. Un punto cruciale per noi è mettere a tema i problemi prioritari che le nostre comunità si trovano a fronteggiare oggi, provando a generare un’agenda di intervento. È difficile, ma va fatto, per sperimentare ipotesi di risposta a problemi sempre più importanti. Penso alle famiglie, agli anziani, alla denatalità, al lavoro dei giovani».
La Cariplo è un grande sensore del settore non profit, che in questa fase di emergenza sta soffrendo…
«Vediamo elementi di tenuta, di coesione. Di fronte agli effetti del coronavirus, le comunità, le persone stanno mettendo in atto ancora una volta la solidarietà silenziosa. Dalla scuola alla sanità, basti pensare alle persone che stanno lavorando negli ospedali, ai medici e agli infermieri, e tutto il personale sanitario. Ma vediamo anche il Terzo Settore, al pari delle imprese, in difficoltà. Ci sono servizi assistenziali che hanno dovuto fermarsi, o limitarsi. Con gravi danni. Nelle crisi, i primi a soffrire sono sempre i più deboli, dobbiamo esserne consapevoli ed agire di conseguenza, anche attivando risposte alternative per garantire vicinanza alle persone fragili. Nei giorni scorsi abbiamo varato una prima iniziativa: 2 milioni per sostenere il non profit in difficoltà, coerentemente con la nostra missione. Vogliamo dare un segnale in questa direzione: aggregare risorse attraverso uno schema aperto al quale si possano aggiungere altri soggetti per unire le forze. Subito Fondazione Vismara si è resa disponibile ad integrare il fondo con 500 mila euro.».
Il confine tra profit e non profit appare sempre più liquido. Se si pensa ai costi del welfare e all’incidenza sui conti pubblici…
«Nel nostro Paese, una buona parte del welfare è sulle spalle delle famiglie, che faticano sempre di più. Il Terzo Settore ha un ruolo importante. Profit e non profit collaborano sempre di più su questo fronte, con alleanze sui territori che diventano decisive specialmente nelle aree interne, isolate, o marginali. In questo senso è chiaro come la coesione sociale diventi una dimensione sempre più necessaria: una società che riconosce come ingiusta la fragilità dei più deboli, che devono essere sostenuti, dimostra la consapevolezza delle proprie interdipendenze. Una società funziona se è coesa».
Da un lato la denatalità, dall’altro gli anziani: si calcola che l’assistenza, nelle varie voci di spesa, costi miliardi per lo Stato…
«Siamo di fronte a problemi molto ampi per i quali non abbiamo una soluzione definita. La Fondazione non è un policy maker, ma svolge il ruolo di soggetto innovatore con proposte e tentativi di risposta ai problemi, stabilendo un’agenda delle priorità e finanziando la collaborazione. Sperimentiamo per offrire al Paese soluzioni nuove sui problemi prioritari. Ci sono 3 milioni di anziani non autosufficienti. Quanto incide questo sui familiari che se ne fanno carico? Quale impatto sul loro lavoro? Dobbiamo costruire servizi per una società che sta cambiando. Non esistono soluzioni preconfezionate, ma ascoltando i territori, le associazioni, il terzo settore, le imprese, se ne possono trovare di nuove. Noi abbiamo deciso di partire dai due campi ai confini della società, il nodo della denatalità e la solitudine degli anziani. Prendiamo la denatalità: abbiamo redatto uno studio sulla Lombardia, con un affondo su Milano, il Novarese e il Verbano, per capire le tendenze in atto sulla fecondità. Vogliamo creare un laboratorio per costruire nuove infrastrutture sociali sperimentali. Partendo da quel che c’è. Ad esempio, l’housing sociale che abbiamo già infrastrutturato in questi anni: possiamo immaginare interventi di welfare abitativo che incidano sia sui servizi per la prima infanzia che su forme innovative di workfamily balance. Bisogna cambiare la prospettiva: chiedersi che cosa serve a famiglie, mamme, e bambini».
Se si pensa alle badanti, le famiglie datrici di lavoro sono circa 800mila. Il governo ha introdotto i voucher.
«Il 10% del Paese è coinvolto nel sistema di assistenza agli anziani. Serve più innovazione sociale in grado di abilitare connessioni tra il non profit e le istituzioni pubbliche. L’innovazione sta anche nel come vengono messe insieme le varie risorse. Le risposte spesso arrivano dopo una lunga filiera di insuccessi e di tentativi, ma è necessario iniziare ad affrontare i problemi. Pensi ai 2,5 milioni di giovani che non lavorano e non studiano. Non possiamo fermarci e lasciar soli questi ragazzi. La Fondazione sta mettendo in campo delle iniziative su questo tema; anche se è solo un inizio ne sono molto orgoglioso».
L’esempio del progetto Qubì, che ha messo in moto oltre 500 associazioni per occuparsi di 20mila bambini poveri a Milano…
In questa fase le istituzioni sono un ancoraggio. Soluzioni nuove per aiutare i più deboli Intervento di 2 milioni per venire incontro alle esigenze immediate dell’assistenza
«Lo schema va esteso. Si tratta di abilitare saperi e competenze per individuare soluzioni che possano essere esemplari anche per altri. Le cose che funzionano sono quelle che ricuciono le relazioni, creano trame a maglie larghe, in grado di adattarsi e tenere dentro tutti. In una fase complicata come questa, Fondazione Cariplo vuole giocare questo ruolo: aggregare risorse e collaborare».
La Fondazione non è una finanziaria di partecipazioni, ma un azionista rilevante di Intesa Sanpaolo. Come vede l’offerta su Ubi?
«Intesa Sanpaolo si posiziona in questo modo come la terza banca del panorama europeo. E realizza un’aggregazione con una banca che nel suo dna ha espresso valori di responsabilità sociale e attenzione al territorio molto simili. È un’operazione molto complessa, di grande rilievo anche per il Paese, che conferma un sistema di competenze molto importante. Abbiamo detto fin da subito che occorre avere molta attenzione per gli aspetti sociali ed occupazionali che l’operazione comporta. Sono convinto che Carlo Messina e il management di Intesa Sanpaolo sapranno condurla al meglio».