Niente ospedale «tipo Wuhan» Fiera di Milano, stop al progetto
MILANO «Dobbiamo intubare un paziente, ma non abbiamo posto. Dove lo mettiamo?». È la domanda che si sentono rivolgere 24 ore su 24 gli uomini dell’unità di crisi di Regione Lombardia che smistano i malati più gravi. Oltre 650 in tre settimane. «La capacità di resistenza del sistema ospedaliero è al limite», dice l’assessore alla Sanità Giulio Gallera in più di una riunione. È il motivo per cui è nata l’idea di creare un ospedale tipo Wuhan alla Fiera di Milano: 600 letti di terapia intensiva nel cuore della città, con la Fondazione Fiera in grado di trasformare in una settimana due padiglioni fieristici in un ospedale da campo.
Ma il progetto è al palo. L’idea si scontra con le difficoltà della Protezione civile di reperire le attrezzature, principalmente respiratori e monitor, ma soprattutto con l’impossibilità di trovare i 450 medici e i 1.200 infermieri indispensabili. Resta, enorme, il problema di trovare nuovi posti letto di rianimazione: «È allo studio ogni soluzione possibile».
È il primo pomeriggio di ieri quando il governatore Attilio Fontana spiega a malincuore: «La Protezione civile non è in condizione di fornirci né il personale medico infermieristico né i letti e la strumentazione necessaria per allestire i padiglioni. Da parte nostra, come Regione, stiamo comunque verificando se, sul mercato internazionale, si possano trovare le dotazioni». La Protezione civile precisa: «Al momento non sono disponibili sul mercato le attrezzature sanitarie necessarie al funzionamento della struttura.
Vista l’assenza di materiale l’ipotesi sul tavolo, che tra l’altro è stata condivisa dalla Regione Lombardia, è quella di potenziare i posti di terapia intensiva nei vari ospedali lombardi». E lo staff di Angelo Borrelli aggiunge al Corriere: «È una soluzione che, in ogni caso, richiederebbe troppo tempo».
La situazione: oggi i posti di Rianimazione attrezzati in Lombardia per i pazienti Covid-19 sono 750 su 1.090 letti complessivi delle Rianimazioni, ossia il 70% (gli altri devono essere lasciati liberi per chi ha un infarto, un ictus o dev’essere sottoposto a un intervento chirurgico non rinviabile). Ciò vuol dire che la Lombardia ha creato ex novo — utilizzando sale operatorie, corridoi e stanze di risveglio — quasi 350 posti. «Ma non facciamo in tempo a farne di nuovi, che già sono pieni», osserva Gallera: «Stiamo cercando di realizzarne anco
A Milano
Un edicolante ha affisso un cartello per invitare a non parlare di virus ra 150-200, ma oltre non sappiamo come fare». Di qui la necessità di esaminare ogni soluzione possibile.
La Regione farà il tentativo di cercare sul mercato le attrezzature necessarie. In una lettera al governo tedesco, Fontana scrive: «Siamo pronti fin da ora ad acquistare questo materiale presso i produttori tedeschi».
In contemporanea sono allo studio altri progetti per ricavare nuovi posti di rianimazione da reparti dismessi («Più semplici da attrezzare e da dotare di operatori sanitari»). Un padiglione dell’ospedale Niguarda di Milano, due piani al San Paolo e un altro al San Matteo. Al di là delle ipotesi, una cosa è certa: quella della Lombardia è una corsa contro il tempo. I pazienti da ricoverare in terapia intensiva crescono al ritmo di 45 al
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giorno.
Nel frattempo in Lombardia arrivano le nuove mascherine per medici e infermieri attese da giorni. Una fornitura che suscita perplessità: «Sembrano stracci per la polvere — commenta l’assessore Gallera —. Basta vederle in foto». Replica la Protezione civile: «Avevamo già mandato alla Lombardia 200 mila mascherine Ffp2 e Ffp3. Ma sono merce rara, e la Regione è in cima alla nostra lista. Stiamo facendo il massimo sforzo per reperirne altre in tutto il mondo in modo tale da poterle mandare al più presto».