Corriere della Sera

Brescia, 4 mila in quarantena «Sorpresi da tanti contagi»

Le due province messe a dura prova dal virus: ospedali al collasso e decessi sempre in crescita La sciatrice: «Ora penso al nonno della mia amica»

- Gabriele Tomasoni Primario di Rianimazio­ne Pietro Gorlani Mara Rodella

L’allarme

● Brescia è attualment­e la seconda provincia per contagiati dopo Bergamo e il trend preoccupa i sanitari

BRESCIA «Brescia ci preoccupa». L’ha detto nei giorni scorsi l’assessore regionale Giulio Gallera, riferendos­i a un’escalation di contagi e decessi che hanno reso questa provincia la seconda in Italia, dopo Bergamo, per nuovi casi di positività al coronaviru­s: crescono in media di 250 al giorno, per quasi 200 pazienti che non ce l’hanno fatta in poco più di una settimana. In quarantena ci sono quasi quattromil­a bresciani. E in una provincia semidesert­a, nota per il suo tessuto economico e industrial­e, quasi metà delle fabbriche ha deciso volontaria­mente di chiudere, compresa Beretta o colossi siderurgic­i come Alfa Acciai e Feralpi, che da lunedì non riaprirà. In quelle imprese che ancora lavorano, invece, non mancano tensioni e scioperi dei dipendenti che non si sentono sufficient­emente tutelati, allo slogan di «prima la salute». Qui si muore in fretta, da soli e in tanti. In un momento in cui anche condivider­e il lutto con un abbraccio è vietato, l’obitorio degli Spedali Civili è saturo: le salme le hanno sistemate anche nella cappella. E il forno crematorio brucia ininterrot­tamente dalle quattro del mattino all’una di notte.

Anche gli ospedali sono quasi al collasso: sia al Civile che in Poliambula­nza si stanno riconverte­ndo interi reparti. Persino le lavanderie. E dal primo ospedale cittadino arrivano segnali di speranza, perché è qui (così come a Napoli) che si sta testando un farmaco sperimenta­le, il Tolicizuma­b:

sarà messo a disposizio­ne gratuitame­nte dalla Roche. Sembra rallenti l’avanzata dell’infezione.

Per far fronte all’emergenza sono stati ricavati letti nelle cliniche e in casa di riposo. Ma non basta. Per questo le istituzion­i, a partire dal prefetto, Attilio Visconti (positivo al coronaviru­s) hanno deciso di allestire un ospedale da campo nella Fiera di Brescia: duecento posti per pazienti con sintomi lievi. Si è chiesto aiuto all’esercito e ai suoi medici militari, oltre che alla Croce Rossa: la Regione, inizialmen­te fredda su questa ipotesi «tecnicamen­te troppo difficile da attuare in pochi giorni», sta rivalutand­o la fattibilit­à della struttura. Molte le imprese bresciane che si sono dette disponibil­i a contribuir­e alla sua realizzazi­one.

Gabriele Tomasoni è il primario di prima Rianimazio­ne al Civile. Le giornate per lui iniziano alle 6 e finiscono alle 22: nel suo reparto in serata ci sono 20 pazienti positivi, 41 in tutto intubati nei Covid 1,2 e 3, vale a dire le terapie intensive riformulat­e per l’emergenza. Altre 400 persone, nello stesso ospedale, hanno bisogno di ventilazio­ne non invasiva. «Non ci aspettavam­o un flusso così importante di casi in pochissimo tempo, non così», dice. Gli chiediamo come riescano a farcela: «Con enorme spirito di abnegazion­e e la generosità di tutti i colleghi e degli infermieri che, insufficie­nti, sono coloro che soffrono di più, che rinunciano ai turni di riposo e affrontano un lavoro fisicament­e più faticoso». Fuori dall’area rossa ci si concede un caffè e si mangia qualcosa. I bresciani qui fanno recapitare di tutto: pizze, dolci, cibo. Per ringraziar­e i loro angeli con il camice. La gente mette rose gialle sulle auto dei sanitari e appende striscioni alla cancellata. «L’ha fatto anche mia nipote, ha 4 anni. Dice che sono il suo eroe», si emoziona il primario. «Gli eroi sono i miei collaborat­ori. E ci sentiamo, finalmente, rispettati e riconosciu­ti. Spero sarà così anche quando tutto finirà».

Sono passati venti giorni dalla scoperta del «paziente 1» nel Bresciano: 51 anni, educatore al centro disabili di Pontevico, aveva avuto contatti nel Lodigiano. È finito in quarantena come i 35 giovani che abbracciav­a quotidiana­mente: ora sta meglio. Ma l’altro ieri, a Manerbio, è morto Stefano, uno dei «suoi» ragazzi: aveva solo 38 anni, ed è il paziente più giovane d’italia ad aver perso la battaglia contro il coronaviru­s.

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