L’impresa di Valia la cosmonauta: dallo spazio al lancio di «Putin eterno»
Tereshkova, prima donna in missione in orbita, ora è sponsor dello «zar» alla Duma Chelsea libera (ma con multa) dopo il terzo tentato suicidio
BERLINO Valia, la chiamava affettuosamente Nikita Krusciov. Chayka, gabbiano, era il suo nome in codice via radio, mentre faceva la Storia girando intorno alla Terra a bordo della navicella Vostok-6.
Aveva 26 anni Valentina Tereshkova, il 16 giugno 1963, quando venne lanciata nello spazio dal cosmodromo di Bajikonur per una missione di tre giorni, diventando la prima donna astronauta al mondo. La sua fu molto più di un’impresa ai confini delle possibilità umane. Nonostante la missione fosse sul punto di concludersi in tragedia, come lei stessa ha rivelato qualche anno fa, fu uno spettacolare colpo di propaganda per l’unione Sovietica, che mostrava al mondo la superiorità del sistema socialista, primo non solo nella conquista del cosmo ma anche nella parità di genere.
Da allora, la figlia dell’operaia tessile e del trattorista di Jaroslav è sempre stata un’icona: non solo sovietica e russa, ma universale. Perfino una valle lunare è stata ribattezzata col suo nome. Nel 2017, in occasione del suo ottantesimo compleanno, Vladimir Putin le dedicò una cerimonia solenne: «Lei è sempre stata un simbolo della dedizione alla Patria». Tre anni dopo, Valentina Tereshkova si è sdebitata col capo del Cremlino.
Come ci ha raccontato il nostro Fabrizio Dragosei, è stata infatti l’ex cosmonauta nel dibattito sulla nuova Costituzione russa a proporre di resettare i mandati presidenziali, un espediente che permetterà a Vladimir Vladimirovich di ricandidarsi altre due volte alla presidenza e volendo di rimanere al potere fino al 2036, quando avrebbe 95 anni e sarebbe secondo soltanto a Pietro il Grande nella longevità dei signori del Cremlino. «La grande autorità del presidente è un fattore stabilizzante per la nostra società», ha detto Tereshkova nel suo intervento. Poco dopo, Putin stesso ha fatto sapere che sta prendendo in considerazione il suggerimento.
Non è la prima volta che Valentina Tereshkova interviene in un dibattito costituzionale. In un discorso degli Anni 60, ritrovato da Moskovskij Komsomoletz, l’astronauta ringraziò personalmente Leonid Breznev a nome delle donne sovietiche: «Lei ha fatto sì che la nuova Costituzione dia un posto di rilievo a noi donne».
Eroe dell’unione Sovietica, decorata con l’ordine di Lenin, onorata da tutti i segretari generali del Pcus, celebrata sui francobolli, omaggiata anche dalla regina Elisabetta, Tereshkova ha in realtà sempre avuto un ruolo di primo piano nella vita pubblica prima nell’urss e poi nella Russia post-comunista. Eletta al Soviet
Supremo, dove entrò a far parte del Presidium, membro del Comitato centrale, vicepresidente della commissione per l’educazione e la Scienza dell’urss, dopo la fine del regime comunista è stata eletta prima nella Duma regionale di Jaroslav e poi, nel 2011 in quella federale nelle liste di Russia Unita, partito di Putin.
Grande appassionata di auto sportive, in Italia Tereshkova viene ricordata al volante di una GT Alfa Romeo. Accadde in occasione del viaggio nel 1967, quando chiese di poter visitare gli stabilimenti di Arese, dove fu invitata e accompagnata dal presidente Giuseppe Luraghi.
Coerente con la propria mistica di patriota, Tereshkova ha per Putin quasi una venerazione. È lei a recarsi in Crimea nel 2014 per sostenere l’annessione, lei a visitare le truppe russe in Siria, lei che nel 2016 in occasione dei 64 anni del presidente ha suggerito ai colleghi della Duma di regalargli 450 rose, una per ogni seduta della Camera.
Un solo sogno non ha realizzato, quello di volare su Marte: una volta Tereshkova ha detto che lo avrebbe fatto anche sapendo che probabilmente sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Ci si è avvicinata in spirito, con una proposta costituzionale da marziani: Putin forever.
Torna libera Chelsea. La decisione del giudice federale Anthony Trenga è arrivata ieri, proprio nel giorno in cui Manning, ex analista informatica militare Usa e whistleblower nonché icona transgender, avrebbe dovuto testimoniare davanti al Grand Jury contro il fondatore di Wikileaks Julian Assange. Fin dal primo giorno Manning si è rifiutata di comparire. «Sono disposta a morire di fame in carcere piuttosto che aprire bocca di fronte a una giuria che userebbe ogni parola contro di me», ha detto al suo team legale Manning. La decisione di Trenga a favore di Chelsea — che sarà condannata a pagare 256 mila dollari di multa — arriva dopo 10 mesi di carcere. Ma soprattutto viene presa dopo un nuovo tentato suicidio avvenuto giovedì nel carcere di Alexandria, in Virginia. «Chelsea sta bene ma è provatissima», hanno riferito i supporter della whistleblower. Nel 2018 Manning minacciò di togliersi la vita buttandosi da un cornicione di un hotel a Milano dopo aver partecipato ad un incontro pubblico. Ma la tormentata storia di
Figlia di un’operaia Un’icona «universale»: perfino una valle lunare è stata ribattezzata con il suo nome
Manning inizia otto anni prima, quando l’allora soldato Bradley trafuga centinaia di migliaia di documenti militari e cablogrammi top secret, mentre lavora come analista di intelligence a Bagdad. Tra i file più compromettenti, le prove di crimini di guerra commessi dall’esercito Usa in Iraq e in Afghanistan che Manning consegna a Wikileaks. Arrestato e recluso prima in Kuwait e poi in isolamento nel carcere militare di Quantico, in Virginia, al termine del processo davanti alla corte marziale, Manning riesce ad evitare la condanna per il capo di accusa più grave, quello di connivenza con il nemico e di alto tradimento, reato che prevede la pena di morte. Ma subisce una condanna a 35 anni di reclusione. Una pena commutata dall’allora presidente Barack Obama nel 2017, dopo sette anni di detenzione. Ed è proprio durante quegli anni di isolamento e di dolore — Manning tenta il suicidio a Quantico due volte — che Bradley chiede e ottiene il permesso di diventare Chelsea, da ieri di nuovo una donna libera.