La signora che cammina sui rubini
Lucia Silvestri, direttore creativo di Bulgari: quella volta che aspettammo 10 anni per uno zaffiro
S ul titolo per un libro, Lucia Silvestri ha solo l’imbarazzo della scelta. La donna che cammina sui rubini, La mia partita a poker con gli smeraldi, Ti aspetterò per anni, mio zaffiro. Ma anche Io, la cacciatrice di gemme, perché questo è la bellissima ed elegante signora romana, da più di trent’anni compratrice di preziosi per Bulgari e dal 2013 creatrice. «Una storia d’amore lunghissima e meravigliosa», sintetizza lei. Cominciata per caso da studentessa in Biologia, poco meno che ventenne, chiamata a fare una sostituzione nell’azienda dove lavorava il padre. E in poco tempo ovunque «spuntassero» gemme lei c’era. Anzi c’è. Sri Lanka, India, Mozambico, Thailandia, New York: unica donna. «All’inizio non volevano neppure parlare con me. Figurarsi negoziare. Ora mi chiedono consigli».
Come si diventa la donna più «preziosa» del pianeta?
«Ho imparato sul campo.
La cosa più bella è stata che i fratelli Bulgari, Nicola, Paolo e Gianni, hanno creduto in me. Sino a quel momento solo le persone di famiglia erano autorizzate ad acquistare pietre. Hanno cominciato a portarmi con loro. Hanno capito che avevo un’affinità con le gemme. E parlavamo la stessa lingua. Ci bastava spesso uno sguardo. Una regola che ci eravamo imposti di fronte ai fornitori. Trattare è come una partita a poker. Se ti piace una cosa non puoi esprimerlo palesemente. Devi imparare a trattenere le emozioni. Dentro puoi pensare “la voglio”, ma davanti devi tergiversare “sì, non male, vediamo”. In più dentro di te devi immaginare cosa potresti realizzare, dunque la parte creativa. Non puoi comprare una pietra solo perché è bella, già deve essere un gioiello, dentro di te».
Trattare e creare.
«E raccontare. Da quando è cominciata l’altra vita, nel 2013 con la nomina di direttore creativo, caso unico al mondo nel nostro settore, ho dovuto anche cominciare a parlare di me. Tremo ancora adesso quando devo aprirmi, è più facile trattare con i venditori! Ma vedo che la gente si entusiasma del mio lavoro e cose che per me sono normali per gli altri sono eccezionali e interessanti».
Deve ammettere che camminare sui rubini non è esattamente normale...
«L’esperienza più emozionante della mia vita. Un vero red carpet. Vorrei scrivere un libro su quel giorno. È successo in Mozambico. È stato bellissimo. Avevo i brividi, le lacrime, tutto. Mi sembrava di essere atterrata su di una Luna di rubini. Intorno un paesaggio desolato, sotto i piedi una strada di rubini affioranti».
I gioielli sono cambiati, anche l’acquisto e le motivazioni nel sceglierli.
«Sono sempre più qualcosa che decidi tu che sia tuo. C’è stato un momento in cui si era perso questo desiderio. E mi piace dire che dietro a Bulgari c’è un team che ci crede veramente in tutto questo. Il gioiello come sogno da indossare. Io disegno pensando come quel pezzo possa accompagnarmi da mattino a sera. In lungo ma anche con una giacca e un jeans. Versatilità».
Una pietra che l’ha fatta diventare matta?
«Che mi fa, ancora adesso. Questo zaffiro padparadscha che non riesco a comperare, che è piccolissimo. Ma ce ne sono state tante, ricordo un altro zaffiro, il proprietario non si decideva a tagliarlo, per dieci anni. Diceva sempre che non era pronto. Il signor Bulgari usciva fuori di testa: “Ma come, non è possibile”. E poi finalmente lo ha tagliato in un meraviglioso zaffiro di 135 carati».
E il gioiello che più l’ha affascinata?
«Io sono molto legata al sautoir di Elizabeth Taylor, che per me è incredibile. Sono stata io ad acquistarlo all’asta. I fratelli Bulgari mi parlavano sempre di quel gioiello, di come lo avevano tagliato e montato, delle prove con lei. Poi a distanza di anni ci ritornò per una stima: passammo trenta minuti soli con quella meraviglia. Fu molto romantico. Poi arrivò l’asta, ero chiusa in una stanza a New York e dall’altra parte al telefono mi dicevano “lei senza zaffiro non torna a Roma”. Ripartii con lui».
Contrattazione È come una partita a poker: devi imparare a trattenere le emozioni, a dire “sì, non è male”