Il tormento del capo del governo Alla fine lo convincono i numeri
La cautela prima di «comprimere ulteriormente» i diritti degli italiani
«Si devono soppesare almeno due distinte esigenze, quella primaria della salute pubblica insieme a quella della libertà di un Paese che non può essere compressa ancora di più, toccando quasi un limite di non ritorno, e bloccando del tutto la vita delle persone».
A Palazzo Chigi la linea è questa e sembra il riflesso anche del pensiero, in qualche modo tormentato, del capo del governo. A Giuseppe Conte arrivano telefonate che lo tirano su sponde opposte: c’è chi gli sussurra che siamo prossimi al punto limite, che la gente non può reggere a lungo uno stato di quarantena sostanziale come quello attuale, che è da calcolare l’aumento dei reati dentro le mura domestiche, così come la radicata abitudine degli italiani alle libertà civili, come lo stesso Conte ha detto al Corriere.
Ma dall’altra c’è anche chi tira il governo verso l’adozione di misure più drastiche di quelle attuali: limitando di fatto alle sole filiere alimentari e sanitarie la facoltà di restare aperti, cosa che chiede ad alta voce il Movimento 5 stelle, con il capo politico Vito 7
Crimi. mila i militari dell’esercito nel progetto «Strade sicure», la cui presenza potrebbe essere rimodulata per far rispettare i divieti anti contagio, e non solo, nell’ambito della lotta al virus
Insomma due opposte visioni dello stato dell’arte che in questo momento stanno investendo il governo e lo stesso presidente del Consiglio, che da una parte è convinto che misure «di largo respiro più restrittive di quelle che abbiamo già preso è difficile immaginarle», che durante il comitato operativo cita gli psicologici che gli raccontano del punto di rottura possibile, in termini di equilibrio psicofisico, per tante fasce della popolazione. Un presidente del Consiglio che in qualche modo dunque frena rispetto alle tante sirene, politiche e sociali, che vorrebbero l’adozione immediata di uno stato quasi di guerra, senza mezze misure, a cominciare da quella che appare diventata uno degli argomenti chiave delle discussioni sulla prevenzione, ovvero continuare a permettere ai tanti sportivi amatoriali di fare attività non agonistica fuori di casa, anche una semplice corsa per le strade, oppure proibire del tutto anche questo tipo di libertà.
È chiaro che le dinamiche in atto coinvolgono anche diritti costituzionali incomprimibili dei cittadini, e che l’adozione di ulteriori misure sarebbe in qualche modo una sorta di congelamento costituzionale di tante libertà, a cominciare da quella della circolazione, che è già stata compressa in modo molto vistoso.
Ma è altrettanto chiaro che il bollettino diramato ogni giorno dalla protezione civile, con il numero dei contagiati e dei deceduti in continuo aumento lo persuade che decisioni drastiche potrebbero essere indispensabili almeno per i prossimi quindici giorni, proprio per tentare di invertire la «curva» per fermare il coronavirus.
Ieri sera in una videochiamata si sono confrontati a lungo sull’argomento il premier Giuseppe Conte e il governatore della Lombardia Attilio Fontana, al cui fianco consulenti cinesi continuano a sostenere che troppa gente e troppi italiani circolano ancora per strada, che l’elusione delle misure accade da Nord a Sud in troppi contesti, che in questo modo un contenimento del virus è forse alla portata di mano ma non certo un’opera di annientamento, come avvenuto in Cina, che da ieri, dopo aver adottato misure marziali, non ha più casi di coronavirus, se non importati da Stati stranieri. Un successo costato tanto, ma raggiunto in meno di tre mesi.