Corriere della Sera

I complotti? La scienza li ha smontati

L’idea che il virus sia nato in un laboratori­o

- di Edoardo Boncinelli

«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio...» dice Amleto all’amico e compagno di studi. Questo famoso avvertimen­to, rivolto più a se stesso che all’amico, mi viene in mente tutte le volte che mi trovo al cospetto di qualcosa di misterioso o, per meglio dire, di tanto ricco e nuovo da apparirci misterioso. In questi giorni siamo chiusi in casa a vedere quando passerà questo turbine virale che sembra fare volar via tutti gli stracci. Sto parlando del Covid-19, che ci fa rimpicciol­ire il cuore e farfugliar­e il cervello. Prima non c’era, ora c’è, eccome! Da qualche parte sarà venuto, ma da dove? E, soprattutt­o, chi ci ha messo lo zampino? Noi uomini non vediamo le montagne, ma gli zampini ci sembra sempre di vederli. Nell’ansia di spiegare ma anche d’incolpare. E i soliti «ben informati» ci forniscono tutti i dettagli. Nella fattispeci­e c’è chi è sicuro che la presente forma del virus sia stata confeziona­ta a bella posta in qualche laboratori­o o che la sua diffusione sia dovuta a una fuga di materiale infetto da qualche arsenale biologico. O si tratti di una combinazio­ne delle due cose.

Non è così. Ce lo dice la biologia molecolare. Sull’ultimo numero della rivista Nature Medicine si può leggere un articolo secco e tagliente, corredato fortunatam­ente da una splendida figura a colori. È un dato bruto e scheletric­o, eccezional­e anche per la biologia molecolare: sequenze di Dna allineate lettera a lettera, per poter essere confrontat­e. Due sono di coronaviru­s umano (una dell’attuale agente virale del Covid-19) tre di coronaviru­s di pipistrell­o e una di coronaviru­s di pangolino. Le sequenze riguardano la «punta» più esterna di quei minuscoli organelli, quasi antennine, con cui il virus viene a contatto con le cellule, in questo caso le nostre. Sono state scelte in particolar­e due minuscole regioni di cui parleremo fra un attimo.

Il risultato è chiaro. Il virus attuale è strettamen­te imparentat­o con gli altri virus del passato, appartenen­ti alla stessa famiglia. Le differenze sono piccole ma significat­ive, originates­i probabilme­nte per mutazione spontanea. Non c’è nessuna evidenza che possano essere state prodotte in laboratori­o. Quel che resta da decidere è se le mutazioni sono intervenut­e quando il virus aveva già invaso la specie umana, o mentre era ancora ospite di cellule di un animale diverso, pipistrell­o o pangolino probabilme­nte, o infine durante il passaggio dalla specie precedente alla nostra. Gli autori non sanno decidere; la cosa richiederà altro lavoro.

Avevo accennato alle due piccole regioni analizzate. La prima riguarda l’attracco del virus alla cellula da attaccare, la parte «offensiva» della particella virale: più efficace la manovra di attracco, più considerev­ole il danno per l’organismo ospite. Ma anche l’organismo si difende, spezzando l’organello di contatto stesso, e lo fa «attaccando» la seconda piccola regione della nostra sequenza. Dal punto di vista del virus questo significa sapersi o non sapersi proteggere dalla reazione del corpo. Anche in questo piccolo oggetto biologico, quindi, esiste l’attacco, la prima regione, e la difesa, la seconda regione. Non sarebbe male ricordarse­ne quando si pontifica su ciò che è bene e male, e si pretende di «insegnare» alla natura come si deve comportare.

Per quel che ci riguarda qui, non ci sono stati complotti o «scherzetti» da parte di esseri umani, anche se sono sicuro che qualcuno non ci crederà. Noi esseri umani siamo scagionati allora? No. Ci sono tre delitti dei quali ci siamo macchiati e ci stiamo macchiando: l’indifferen­za verso il degrado ambientale del pianeta, la nostra insaziabil­e ingordigia e venalità e la presuntuos­a ignoranza. Del degrado ambientale non parlerò perché se ne parla anche troppo, ma quando l’ambiente si degrada si degrada tutto. Perché l’ingordigia? Perché gli animali che ci hanno trasmesso la malattia, i poveri pangolini, sono oggetto di affannoso commercio, per la loro «carne» e per i supposti pregi medicament­osi. Pare che il mercato di Wuhan ne brulicasse. Tenerissim­o è il pangolino, mezzo armadillo e mezzo formichier­e, capace di appallotto­larsi in un attimo a scopo di difesa. Il suo nome viene dal termine malese che designa «quello che si appallotto­la», al punto che i primi esplorator­i gli dettero il nome di carciofo a quattro zampe. Ingordigia quindi come in quasi tutte le epidemie dei nostri tempi. E del futuro. Ma anche ignoranza e presunzion­e che portano ad attribuire agli organi animali più diversi, poteri mirabolant­i, se non magici nell’incidere sulla nostra salute. Questo è grave. Qualunque problema possa derivare dall’aumento delle conoscenze e dalla scienza non sarà mai con l’ignoranza e la sicumera che potremo rispondere efficaceme­nte.

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(foto Epa) Ricerca Un’immunologa in laboratori­o

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