La geopolitica della corsa al vaccino E i primi volontari già lo provano
A Londra offerte 3.500 sterline alle «cavie»: in 20.000 hanno risposto. Ma il sistema per immunizzare l’umanità sarà anche strumento di potenza nazionale
43 anni, dopo aver ricevuto l’iniezione. E con una nota lieve ha spiegato: «I miei due figli dicono che è “cool” (figo)». Non è una kamikaze, Jennifer. E non lo sono i 20 mila volontari britannici.
A differenza dei farmaci, che sono sperimentati su soggetti che hanno già contratto una patologia particolare, i vaccini debbono essere somministrati a persone sane che vengono in seguito
I casi esposte alla malattia. Si sviluppa un vaccino e lo si dà a migliaia di soggetti che vivono in una zona dove circola l’infezione; poi li si segue e controlla per mesi, o anni, e il vaccino viene considerato valido se alla fine chi lo ha ricevuto non si ammala. Il Covid-19 serpeggia intorno a noi, quindi chiunque lo provi è esposto.
Ci vorrebbe una grande coalizione globale contro il Covid-19. Ma a partire dalla risposta sul fronte del contenimento, con le assurde incongruenze tra i Paesi che ordinano la quarantena e quelli che si compiacciono perché «come in guerra si va sempre al pub la sera», purtroppo stanno emergendo tutte le crepe del vecchio ordine mondiale.
Così c’è da pensare (temere) che un vaccino capace di immunizzare dal Covid-19 diventi anche strumento di potenza nazionale. Cina, Stati Uniti, Unione europea, Russia, anche Italia e Israele sono impegnati in questa nuova corsa alla difesa antivirus. E quando il primo vaccino sarà pronto, all’inizio sarà in quantità limitata e potrebbe essere monopolizzato da questa o quella potenza, osserva il New York Times.
Basta guardare alla frenetica ricerca di mascherine
Tra le primissime uscite pubbliche del segretario generale comunista c’è stata quella nel centro di ricerca dell’accademia militare medica, per spronare i mille ricercatori a velocizzare le ricerche
ndr).
umano e provocare una risposta immunitaria difensiva. Il migliore? Al momento è importante studiarli tutti».
Tempi e soldi?
«Tutti sono d’accordo che ci vorranno dai 18 ai 24 mesi prima di poter disporre, se tutto va bene, di un preparato utile nella prevenzione. Il costo? Almeno sette miliardi e mezzo di dollari, nei prossimi cinque anni, che comprendono anche la possibilità di assicurare l’accesso alla vaccinazione, sia nei Paesi più ricchi che in quelli più poveri».
In questa nuova sfida anti-coronavirus, qual è il ruolo di Gavi?
«Gavi, vorrei ricordarlo, è che si è scatenata in tutto il mondo. E le mascherine sono semplici da produrre, tanto insignificanti fino a poche settimane fa che la produzione era stata lasciata a Paesi a basso costo del lavoro, come la Cina, il Vietnam, la Turchia.
Tra le primissime uscite di Xi Jinping a Pechino, a febbraio, spicca quella nel centro dell’accademia militare medica: il segretario generale comunista ha ispezionato i laboratori incitando i 1.000 ricercatori a fare presto. Promettendo il massimo delle risorse.
Il presidente Donald Trump ha chiamato a raccolta le industrie farmaceutiche per spronarle a trovare un «vaccino americano». Fonti di Berlino hanno detto che Trump ha cercato di convincere la tedesca Curevac a svolgere le sue ricerche negli Stati Uniti. Saputo dell’interesse americano, la Commissione Ue ha offerto 80 milioni di euro alla Curevac per sostenere la sua ricerca nell’ambito di un consorzio europeo. Biontech, altra azienda tedesca, ha ricevuto un’offerta di partecipazione cinese da 125 milioni. Bisogna prendere il lato buono di questo giro di denaro: i fondi aiutano la ricerca.
Per assicurare l’accesso al vaccino anche nei Paesi più poveri occorrono almeno sette miliardi e mezzo di dollari, nei prossimi cinque anni
sul campo da vent’anni e in questo lasso di tempo ha permesso di vaccinare il 60 per cento dei bambini in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi poveri, incrementando le vaccinazioni del 21 per cento. Ma a parte l’attività di prevenzione, ha assicurato anche la disponibilità di vaccini, praticamente immediata, nel caso di epidemie, come quelle da morbillo, da febbre gialla o da virus Ebola (che, ancora oggi, sta facendo vittime nella Repubblica Democratica del Congo, ndr).
Più precisamente sul nuovo coronavirus?
«Grazie alle nostre partnership, l’obiettivo è quello di stimolare tutti a lavorare sul vaccino e favorire poi l’approvazione rapida da parte delle autorità regolatorie. Grazie anche a nuovi sistemi di finanziamento che stiamo portando avanti. E, ribadisco, ad assicurare l’accesso a tutti, una volta disponibile, anche ai Paesi più poveri che, oggi, sembrano immuni (perché la loro popolazione è più giovane, come in Africa), ma, domani, potrebbero rappresentare nuovi focolai di infezione».
Il «generale» Berkley, che è stato definito dalla rivista Time, qualche tempo fa, una delle persone più influenti al mondo, rimane in prima linea.