Il 25 marzo si celebra il giorno intitolato all’autore della «Commedia» nato da un’iniziativa del «Corriere della Sera» Ecco perché Dante è vivo e ci racconta il futuro
Da secoli la sua forza visionaria non smette di parlare Così attraverso la scrittura ha trasfigurato la realtà
Con largo anticipo si sono cominciate a organizzare iniziative con cui celebrare, nel 2021, i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. È un fatto che si dà per scontato, quasi d’obbligo, il che non ci impedisce di chiederci come sia possibile che un uomo di tanti secoli fa continui a essere sentito tanto vivo e attuale perfino in un periodo come il nostro, disappetente di poesia e, in generale, di cultura, e soprattutto accerchiato dalla superficialità o, peggio ancora, dall’indifferenza. Tra l’altro, alla sua fama universale fa riscontro una biografia scarsissima di notizie: di lui non è rimasta una firma o un appunto, e nemmeno si sa il giorno della sua nascita, tanto che la scelta del Dantedì è caduta su una data immaginaria, quella del giorno in cui Dante comincia il suo viaggio ultraterreno. Si può capire che per gli storici della letteratura la Commedia sia un banco di prova ineludibile, il testo che ha fondato la lingua italiana letteraria e ha promosso il volgare toscano da una dimensione dialettale a lingua nazionale, facendone il nucleo della nostra identità. Come se non bastasse, la sua poesia conserva integra freschezza e
modernità pur facendosi veicolo di un’ideologia ormai spenta, tanto che nelle scuole se ne devono spiegare le condizioni storiche, letterarie, civili e politiche.
Nondimeno il poema dantesco, benché dotato di uno spessore culturale impressionante, che ha affaticato e affatica la critica accademica di ogni tempo, continua a parlare a tutti e a essere il libro meno libresco di ogni altro. Nessuno può pensare all’inferno e al Purgatorio (meno il Paradiso, terreno privilegiato per l’ingegno dei dotti) in un modo diverso da quello che si è inventato Dante che con il potere metamorfico della fantasia ha rivestito di realtà un mondo immaginario. E lo ha fatto trasfigurando con la poesia leggende popolari, visioni, superstizioni, rozze figurazioni di cantastorie, assecondando il gusto per il grottesco, per il mostruoso, per il magico, per il sorprendente. Pene ripugnanti, figure mostruose con tre teste, uomini che camminano tenendo tra le mani la loro testa mozzata, personaggi delle antichità più remote che ingaggiano una scazzottata con un contemporaneo di Dante, anime gettate all’inferno con i corpi che, abitati da un diavolo, continuano a vivere sulla terra. A ogni verso della Commedia c’è una situazione che ci colpisce con forza e che, per dirla con un suo grande lettore, «ancora oggi ha il potere di accelerare i battiti del nostro cuore». La cruda tragedia di Ugolino, culminante con un atto di antropofagia, si accompagna al suo grido lacerante che, prima che a Dante, è scagliato in primo luogo in faccia a noi: «E se non piangi, di che pianger suoli?». Non ci annoia mai ed è una continua sorpresa, dall’intervista che il primo uomo, Adamo, gli concede, alla schermaglia di san Francesco che si vede sottrarre l’anima di un dannato da un diavolo «loico» che conosce i sillogismi molto meglio di lui. A questo proposito non si deve dimenticare che la Commedia è una specie di tribunale di giustizia, il registro ufficiale dei peccati e Dante, il suo estensore, è il giustiziere, o meglio il vendicatore infallibile che ripaga i torti, denuncia gli scandali, che ci consola con la perfetta simmetria del contrappasso. La sua integrità morale è indiscutibile. Egli è stato condannato all’esilio e al rogo, accusato di baratteria, ma nessuno ha mai dubitato della sua piena innocenza, nessuno ha mai pensato di ve