Lamento di un «Loccodannato»
Esercito, droni, posti di blocco e multe stratosferiche (si spera vengano destinate agli ospedali). Rabbrividisco, ma mi adeguo. Però lasciatemi dire che è sempre la solita storia: si inaspriscono le norme per i molti che già le rispettavano, allo scopo di inseguire chi se ne infischiava delle vecchie e cercherà di fare lo stesso con le nuove. Una robusta minoranza di irresponsabili. Di dritti che si riempiono la bocca solo di diritti. Con il loro menefreghismo giustificano o comunque propiziano misure di sorveglianza sempre più totali, che godono di un certo consenso in un Paese dove parte dell’opinione pubblica considera la libertà un lusso per gente in salute e con la pancia piena.
La accetto, questa ulteriore perdita di libertà. Ma non intendo farci l’abitudine. Per farmela piacere, provo a immaginarla come un gioco di gruppo, dove se a isolarmi fossi soltanto io, sarei un asociale che fa qualcosa per conto suo. Mentre se ci isoliamo tutti, diventiamo una comunità che sta facendo la stessa cosa insieme. Ho detto tutti? Bè, tutti quelli che già ci stavano fino a ieri. E che continueranno a starci anche oggi, tra i bofonchi. Dai, giochiamo. Benché ci si senta un po’ come gli eroi di Guerre Stellari nella pressa della Morte Nera, quando le pareti si stringevano inesorabilmente addosso a loro. Ma la si smetta, almeno, di chiamarlo «Lockdown Italia». «Isolamento» suonava troppo ansiogeno? Se proprio devo murarmi vivo, vorrei poterlo fare in italiano.