Mina, il Volto della tv
Paradosso italiano: da quando ha abbandonato le scene non è solo la Voce più amata, ma una presenza costante
di altri grandi “marchi” che parlano di qualità eccelsa nel mondo, quali Ferrari o Fellini. Nell’immaginario collettivo per gli italiani Mina è un patrimonio del quale andare orgogliosi». Peccato che dal 1989 sia cittadina svizzera, ma non importa, siamo lo stesso orgogliosi.
Lo ha sempre detto anche Antonello Falqui, il più bravo regista di varietà della televisione italiana: «Mina è una grandissima cantante. Più che grandissima direi una “fuoriclasse”; e anche uno dei più grandi protagonisti della storia dello spettacolo. Aveva paura dell’aereo, era pigra, non voleva lasciare l’italia…. Ma che quello che ha fatto l’abbia fatto soltanto in Italia, non significa che non sia una grande figura internazionale».
Regina della canzone italiana, regina del varietà italiano. La Mina che rivediamo sullo schermo, il Volto, altri non è che la proiezione del sogno di un altro simulacro, la Voce.
Il segreto fu svelato un giorno da Totò: «Quell’anima lunga che sembra un contrabbasso con tutte le corde a posto, quelle carni bianche da gelato alla crema, quella creatura recita poco e male, ride al momento sbagliato, coprendosi la bocca con la mano. Ma se si spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate».
Due fra i più grandi artisti della scena musicale, Mina e Lucio Battisti, un giorno hanno deciso di non mostrarsi più in video. Esserci ancora, in una tv ormai popolata di dilettanti allo sbaraglio e di casi umani, avrebbe significato cadere irrimediabilmente nell’anonimato, perché il teleschermo è oggi il luogo in cui s’incontrano i volti più comuni possibili. I due non erano tagliati per un anonimato di grande popolarità.
«Morire è solo non essere visto», dice il poeta Fernando Pessoa. Ma i media non conoscono la discrezione, così come la intendiamo noi; e non conoscono nemmeno il distacco, la crepa. Vivono nella simultaneità perenne, spogliata di ogni drammaticità: così, d’un tratto, è bastato intonare «Non gioco più me ne vado, non gioco più davvero…». E il gioco è continuato fino ai giorni nostri.
Trasgressione
Una genialità istintiva sempre sospesa fra la trasgressione e il perbenismo