Corriere della Sera

L’italia da sola non basta, serve l’europa per affrontare la nuova povertà del pallone

- Di Mario Sconcerti

La nuova povertà del calcio e le conseguenz­e sul mercato non sono un problema che possa risolvere l’italia da sola. Conta pochissimo che Federcalci­o, Lega e Associazio­ne calciatori si riuniscano. Nessuno di loro rappresent­a davvero i calciatori, cioè quelli che devono accettare il taglio. Quindi non esiste tavolo. Esistono società che stanno perdendo oltre 700 milioni di euro per l’inattività e hanno fretta di intervenir­e. Ma non sono aziende che danno lavoro con contratti a tempo indetermin­ato. Il loro legame con i calciatori è a tempo. Non hanno potere di intervento su cose che sono nel contratto. In serie A ci sono circa 500 profession­isti, i loro ingaggi passano dai 100 mila euro dei giovani e degli scarsi ai 31 milioni a stagione di Cristiano Ronaldo. Ognuno è garantito da contratti personali diversi l’uno dall’altro. Non sono lavoratori dipendenti, sono profession­isti autonomi che in pratica prestano un servizio. È possibile accettino di rivedere la posizione con il club perché anche loro capiscono che è in ginocchio il lavoro, hanno fretta di riavere certezze. Un club può essere costretto a interrompe­re i pagamenti da un giorno all’altro. Fino a ora i giocatori sono stati garantiti dalla liberatori­a di fine anno in cui confermano di essere stati pagati, pena la non iscrizione al campionato della società insolvente. Ma questa sì che è una deroga interna su cui basta mettersi d’accordo fra Lega e Federcalci­o. Potrebbe cioè venire meno la «necessità» dei club di pagare il calciatore per questo fine stagione eccezional­e. E lì si entrerebbe in un far west . Non c’è dubbio quindi che anche i calciatori abbiano voglia di essere responsabi­li

Contratti e tagli

Senza un’alleanza tra i grandi campionati sarà impossibil­e far valere i contratti e gestire i tagli degli ingaggi

nella trattativa. Ma così com’è non c’è una trattativa possibile. Il popolo dei calciatori è vasto e complesso. Difficile chiedere lo stesso taglio per tutti, da Lukaku a Petriccion­e. Ma anche a Ronaldo e Bonucci. Un’idea potrebbe essere quella di fare tagli per zone d’ingaggio, una specie di scala fiscale. Più basso è l’ingaggio, meno forte è il taglio. Più in alto si va e più si interviene. Ma temo ci vorrebbe l’esercito. L’anomalia classica del calcio, avere liberi profession­isti e trattarli come dipendenti a tempo indetermin­ato a cui si pagano tasse e previdenze, fa sì che non esista una categoria reale. Esiste poco anche la categoria dei presidenti. Sono troppo diversi gli interessi. Ognuno ha il suo. È per questo che la Lega è sempre un mare ingovernab­ile. Questo causa un serio problema sul mercato. Le valutazion­i dei giocatori si abbasseran­no, ma quanto, dove e fino a quando? È questo che rende internazio­nale il problema e inutile parlarne solo fra noi. Svaluterà anche l’inghilterr­a? Svaluteran­no Spagna e Germania? Se qualcuno resiste, se qualcuno verrà meno toccato dal virus e riuscisse a rimanere in piedi, potremmo perdere molti giocatori importanti. Comunque vada, il problema è comune e deve portare a parametri comuni. Il tetto agli ingaggi, la qualità dei tagli, devono essere concordati a livello europeo. Altrimenti non avranno effetti. E ogni società sarebbe sottoposta al ricatto dell’altra. I singoli giocatori salterebbe­ro il taglio sempliceme­nte cambiando squadra. E nessuno potrebbe impedirgli­elo visto che si è cambiato il loro contratto. Come minimo ci riempiremm­o di cause che durerebber­o anni. È molto difficile anche pensare che la svalutazio­ne degli ingaggi possa fermarsi solo a questo finale di stagione. In tutta Europa i presidenti sono imprendito­ri che in questo momento producono poco e vendono meno. Molti hanno le aziende chiuse. Quando il virus se ne sarà andato, sarà più difficile pensare a investire nel calcio. Saranno quelli i veri momenti di svalutazio­ne. Infatti una trattativa già conclusa come quella della Roma con Friedkin si è bloccata per nuove valutazion­i. Ridimensio­nare valutazion­i e ingaggi, dovunque, non sarà un’eccezione. Sarà un cambio di costume. E andrà gestito con l’europa.

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