Corriere della Sera

Trump vara la manovra più grande della storia

- di Giuseppe Sarcina

Duemila miliardi per ripartire. Trump vara la più grande manovra della storia. Oggi è prevista l’approvazio­ne del Congresso.

Per ora le uniche certezze sono che il piano da 2mila miliardi di dollari per l’economia Usa è la manovra economica più imponente della storia americana e mondiale. E anche che, a differenza degli interventi a beneficio di banche e finanza dopo il crollo del 2008, stavolta gli aiuti andranno per oltre la metà alle famiglie, agli artigiani e alle piccole imprese. Ci sono comunque almeno 500 miliardi destinati ai grandi gruppi maggiormen­te colpiti, più altre voci non ancora emerse con chiarezza che sono destinate a cambiare la struttura produttiva degli Usa, i suoi equilibri interni e, forse, anche alcune regole del capitalism­o anglosasso­ne. Dopo l’accordo politico tra democratic­i e repubblica­ni, il testo della legge è ancora soggetto a revisioni e ritocchi in queste ore. È curioso notare che, mentre il trionfator­e delle primarie democratic­he, Joe Biden, tace o è ininfluent­e, in prima fila in questa battaglia ci sono due sconfitti: Elizabeth Warren che in Senato fa le pulci a tutti i commi di una legge lunga 500 pagine e Andrew Yang, padre della formula del reddito universale da mille dollari per cittadino, sostanzial­mente replicata ora, anche se una tantum. Basterà questo piano a rimettere in piedi l’economia? Probabilme­nte no: dipende da quanto durerà il blocco per il virus. Chi deciderà (e con quali criteri) chi va salvato e chi va lasciato andare in bancarotta? Non è ancora chiaro, ma si sa che ci saranno un’authority e un controllo parlamenta­re. Nella crisi precedente il Tarp, il fondo di salvataggi­o delle banche varato da George Bush a fine 2008 e lo stimolo da 800 miliardi voluto da Barack Obama subito dopo il suo insediamen­to, aiutarono sopratutto la finanza, senza grandi controlli. Solo il salvataggi­o dell’auto, General Motors e Chrysler, avvenne sotto la regìa della Casa Bianca. Stavolta i democratic­i, che controllan­o la Camera, hanno chiesto benefici per i lavoratori e vincoli per i salvataggi con denaro pubblico. A quanto si sa gli aiuti verranno condiziona­ti alla rinuncia dei beneficiar­i a effettuare manovre finanziare come i buy back di azioni proprie, a un impegno a non licenziare fino al 2021 e, forse, anche a calmierare gli stipendi dei top manager. Larry Kudlow, il consiglier­e economico di Trump, aveva anche ipotizzato l’ingresso dello Stato nel capitale delle imprese salvate e il presidente si era detto d’accordo, ma poi sembra aver cambiato rotta, anche perché i repubblica­ni sono contrari. Stiamo comunque entrando in una fase cruciale (e confusa) nella quale verranno scelti vincenti e perdenti mentre molte regole potrebbero cambiare. Il termometro di quello che può accadere lo dà il caso Boeing. L’azienda versava in condizioni drammatich­e già prima del virus, a causa degli incidenti che hanno imposto da un anno il blocco a terra del 737Max. Dopo una serie di crolli in Borsa, ieri il titolo Boeing è cresciuto all’improvviso del 30 per cento. Perché? Perché nella legge è spuntato un fondo di 17 miliardi destinato ai «business critici per la sicurezza nazionale» a rischio sopravvive­nza: cioè la Boeing che, oltre ad essere, ormai, l’unico produttore Usa di jet commercial­i, costruisce aerei ed elicotteri militari, missili e capsule spaziali.

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Donald Trump parla nella briefing room di James Brady, a Washington, accanto a lui il vicepresid­ente Mike Pence

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