I nostri antenati ci parlano ancora Viaggio nel mondo degli antichi
La collana Da oggi in edicola la serie su Greci e Romani. Una sintesi della presentazione di Eva Cantarella Le radici della civiltà moderna si trovano nel cuore della cultura classica È importante conoscere i costumi sociali e la vita quotidiana dell’epoc
Perché, all’inizio del terzo millennio, è importante accostarsi ancora al mondo classico e conoscere da vicino la vita degli antichi? Prima di entrare nel merito della questione, è opportuna una precisazione: gli antichi ai quali questa collana è dedicata non sono «tutti» gli antichi. Per un’ormai inveterata abitudine, quando parliamo di antichi noi pensiamo ai Greci e ai Romani, dimenticando che in Oriente, prima di loro, per alcuni millenni vissero popolazioni (dai Sumeri ai Babilonesi, dagli Egizi ai Persiani) con le quali i Greci e i Romani ebbero importanti scambi, anche culturali.
Fatta questa doverosa premessa (che ricorda come per troppo tempo la storia antica sia stata eurocentrica), per rispondere alla nostra domanda iniziale bisogna considerare che, nel novero degli antichi, i Greci e i Romani sono particolarmente importanti per noi per una serie di ragioni, la prima delle quali è la grandiosità del patrimonio culturale che ci hanno lasciato, dalla filosofia alla storiografa, dall’arte al teatro, dalla scienza al diritto (il grande lascito che dobbiamo in particolare ai Romani). E a questa ragione si aggiunge, non meno importante, il fatto che in quel mondo affondano in gran parte le radici della nostra cultura. Cosa, questa, che impone subito un’avvertenza: sarebbe sbagliato, da queste constatazioni, trarre la conseguenza che i nostri lontani antenati fossero simili, per non dire uguali, a noi. Anche se tra il passato in cui essi vissero e il nostro presente ci sono delle indiscutibili continuità, i loro modelli culturali erano per la maggior parte diversi dai nostri.
Ed eccoci più specificamente, con questo, al contenuto della presente collana, che ha l’intento di mettere in luce rotture e continuità con la vita dei Greci e dei Romani, raccontandone i diversi aspetti: la politica, la guerra, la vita quotidiana, la sessualità, il mito, i riti, lo sport, l’ambiente, la schiavitù, la morte, la condizione femminile, la magia, la religione…
Veniamo ora a qualche considerazione più specifica su alcuni temi dai quali emerge la fondamentale «alterità» degli antichi rispetto a noi, a illustrare la quale basterà pensare, per fare un esempio, che per Aristotele gli schiavi erano «strumenti animati» e che le donne — è sempre lui ad affermarlo — pensavano in modo diverso dagli uomini in quanto non possedevano il logos, la ragione, patrimonio esclusivo e gloria dei maschi: di conseguenza, ovviamente, erano esseri inferiori. E per fare un altro esempio, basterà ricordare che i Greci, quando pensavano di dover placare gli dei perché ritenevano che questi, irritati nei loro confronti, avessero mandato sulla terra delle calamità come pestilenze o carestie, risolvevano il problema bruciando vivi in loro onore dei poveri derelitti, veri e propri capri espiatori, che essi chiamavano pharmakoi. Per non parlare di quella che è certamente la diversità maggiore tra noi e loro, vale a dire la religione: i
Greci, così come i Romani, erano pagani, mentre noi da un paio di millenni siamo cristiani.
E questo non è tutto: anche all’interno del mondo antico la cultura dei Greci e quella dei Romani erano per molti aspetti sensibilmente diverse. Limitiamoci in proposito a qualche considerazione sulla profonda differenza tra la famiglia romana e quella greca, sui diversi poteri che all’interno di queste i capifamiglia avevano sui loro discendenti e sottoposti.
Innanzitutto i poteri del paterfamilias romano erano incomparabilmente più forti di quelli dei padri greci: a Roma infatti i padri avevano il diritto di vita e di morte (ius vitae ac necis) sui figli, che potevano esercitare senza alcun controllo pubblico, e ciò comporpubblico. tava il diritto di metterli a morte in casa, in caso di condanna. In Grecia invece (quantomeno ad Atene) non risultano tracce di un simile potere, della cui esistenza quindi si dubita fortemente.
Ma quello che differenziava maggiormente le due culture era la durata della potestà paterna. In Grecia, infatti, essa cessava al compimento della maggiore età dei figli, quando questi acquistavano la capacità di essere titolari di diritti sia nel campo del diritto privato che in quello del diritto A Roma, invece, la patria potestas durava sino a quando il paterfamilias era in vita, quale che fosse l’età dei suoi discendenti: quando i figli raggiungevano la maggiore età, acquistavano la capacità di partecipare alla gestione della vita pubblica, vale a dire di votare nelle assemblee e se intraprendevano la carriera politica avevano la possibilità di ricoprire cariche pubbliche a volte anche importanti, come quella di pretore o di console.
Ma questo non impediva che essi continuassero a dipendere dal padre non solo dal punto di vista disciplinare, ma anche e soprattutto in campo economico. Nel diritto romano, infatti, l’unico titolare del patrimonio familiare era appunto il paterfamilias.
Finalità
Una raccolta che mette in luce la continuità e le rotture rispetto a un passato remoto
Famiglia
A Roma la potestà paterna durava sui figli, anche adulti, finché il genitore non moriva