Bach: «Grandi sacrifici per tutti I Giochi non per forza in estate»
Anche se ci sono — l’ha ammesso lui stesso — «centinaia di domande cruciali provocate dal rinvio dei Giochi di Tokyo» il presidente del Cio, Thomas Bach, ieri ne ha accettate solo 12 dai 400 giornalisti collegati con lui in audio conferenza, schivando con la consueta abilità le più rognose.
Qualche ammissione l’ex olimpionico tedesco ha dovuto farla. Ha ammesso che lo spostamento al 2021 costringerà tutti (atleti, sponsor, federazioni) «a fare grandi sacrifici ed accettare indubbi compromessi», sia sul piano economico che su quello logistico: i detentori dei diritti tv quest’anno resteranno a bocca asciutta, alle grandi federazioni sportive sarà chiesto di modulare o cancellare il loro calendario 2021 per far spazio all’ingombrante programma olimpico e paralimpico. I giapponesi, poi, dovranno fare i salti mortali per far quadrare conti e calendario.
L’inquietudine è salita quando Bach ha spiegato che lo spostamento dei Giochi «non è necessariamente ristretto ai mesi estivi»: sport come calcio, basket o ciclismo potrebbero risentire pesantemente di una collocazione primaverile richiesta invece da altre discipline e soprattutto dagli organizzatori per sfuggire (non bastasse il virus) all’incubo del caldo feroce di agosto.
E se l’epidemia dovesse protrarsi molto a lungo? «Non accetteremo mai di far svolgere i Giochi in un ambiente non sicuro» ha quasi sussurrato il leader del Cio.
Nessuna certezza sul mantenimento del Villaggio Olimpico («Non so proprio cosa rispondere») nella sede originale. Bach scarica l’onere sugli organizzatori sperando «che gli atleti possano vivere e mangiare sotto lo stesso tetto, come nella tradizione dei
Giochi» e ricordando che «stiamo affrontando una situazione senza precedenti, non ci sono altri casi di rinvii».
Un pizzico di ottimismo gli deriva dal fatto che «la consegna di parte degli appartamenti agli acquirenti è prevista nel 2023» e quindi c’è tempo per rimediare.
Bach ha poi ricostruito la «timeline» con cui si è arrivati, martedì, al rinvio, dichiarando di non essersi pentito di aver resistito così a lungo sulla collocazione originale e di non aver ceduto per il boicottaggio annunciato degli atleti canadesi e australiani:
«Abbiamo tenuto duro perché ce lo chiedeva il governo giapponese, cambiando idea solo quando l’organizzazione mondiale della sanità ha certificato che l’epidemia stava prendendo una piega imprevedibile. Gli atleti erano al corrente di tutto» ha spiegato il presidente del Cio, rifiutando anche la tesi che il passo indietro sia avvenuto un attimo dopo quello degli organizzatori.
L’ultima stoccata dell’ex spadaccino (un secco doppio no) è stata nei confronti di chi gli ha chiesto se avesse mai pensato di dimettersi durante la gestione della crisi, lui che meno di una settimana fa aveva dichiarato al New York Times di credere fermamente ai Giochi nel 2020.