Le Teche Rai e Dante, gara sorprendente di grandi interpreti
«Quando, circa tre anni fa — ha scritto Paolo Di Stefano — è apparso sul Corriere il primo editoriale in cui si proponeva di istituire una Giornata dantesca nel calendario laico del nostro Paese, pochi avrebbero pensato che il Dantedì davvero si potesse realizzare». Sì, si è realizzato, in un’atmosfera che solo Dante avrebbe potuto immaginare e descrivere, nell’abisso di un’italia che sta facendo i conti con il maligno.
Per fortuna ci sono le Teche Rai di Maria Pia Ammirati che ieri, con felici incursioni nelle reti principali del servizio pubblico, hanno riproposto celebri brani della Divina Commedia. Che strane sensazioni si provano nell’ascoltare Dante, come se ogni voce leggesse un poeta differente, come se ascoltare le più famose terzine ci dispensasse dall’obbligo d’intenderle: pura vibrazione, puro incanto. A cominciare da Vittorio Sermonti, che forse è il più bravo di tutti, al servizio del poeta con una profondità venata da una punta d’ironia. Le letture che sorprendono di più sono quelle degli attori togati — Giorgio Albertazzi, Enrico Maria Salerno, Vittorio Gassman, Licia Maglietta — perché troppo impostate, troppo «attorali», troppo personali, come se l’«artista» si sovrapponesse al bardo. Roberto Benigni la Divina Commedia
l’ha declamata tutta, più volte, in piazza e in video e la Lectura Dantis resta la sua migliore interpretazione, da quando ha deciso di abiurare le guitterie. La preghiera di San Bernardo alla Vergine è commovente, un sigillo di grazia.
La lettura più conturbante resta però quella di Carmelo Bene, a Bologna il 31 luglio 1981, nel primo anniversario della strage alla stazione, con «quella voce che fuggiva tra le pietre e la carne di una generazione in preda alla follia e al mal di testa con la finta goffaggine e l’infernale birignao del sovrumano dicitore» (Giuliano Ferrara). Una voce eidetica, una voce che si fa conoscenza.