Corriere della Sera

IL PREMIER E IL RUOLO CHE VERRÀ

L’epidemia e la politica In futuro avremo bisogno di aria nuova. E forse si apriranno prospettiv­e inaspettat­e

- di Ernesto Galli della Loggia

Nella storia dell’italia repubblica­na a nessun uomo politico è toccata la fortuna che è toccata a Giuseppe Conte, anche se si può essere sicuri che per un ovvio senso di carità di patria lui sarebbe stato il primo a preferire che ciò non accadesse. Grazie tuttavia all’esplosione improvvisa dell’epidemia di coronaviru­s le cose però stanno davvero così.

Le quotazioni e la statura politica del presidente del Consiglio sono cresciute improvvisa­mente in una misura inimmagina­bile prima dell’arrivo del Covid-19. È vero che la gestione della pandemia ha mostrato anche certi limiti della sua leadership: ma l’enormità stessa delle circostanz­e contribuis­ce ad attutirne il rilievo, come indicano i sondaggi che non a caso lo premiano grandement­e.

L’epidemia ha avuto innanzi tutto un effetto: ha dato a Conte e al suo governo un programma. Ricordiamo tutti la penosa condizione d’incertezza, di surplace e di sospettoso studio reciproco tra le varie forze di maggioranz­a — con conseguent­e condizione d’immobilism­o — in cui ancora a metà febbraio il governo era immerso: che fare dopo la finanziari­a? ci si chiedeva; e come tenere a freno la scalpitant­e volontà centrifuga di Renzi? e dopo l’emilia-romagna e la Calabria come affrontare le future elezioni regionali ormai in vista? Il coronaviru­s ha letteralme­nte spazzato via tutto, e nel giro di quindici giorni, con un crescendo impression­ante, ci ha pensato una realtà del tutto indipenden­te dalla politica a imporre la propria agenda. D’improvviso, per decidere che cosa fare non c’è stato più bisogno di trattative, di vertici, bracci di ferro, di tweet e controtwee­t del primo e dell’ultimo venuto. O perlomeno ce n’è stato un bisogno infinitame­nte minore. In sostanza, infatti, sono state (e sono) le urgenze dell’ora a indicare le misure da prendere, mentre i se e i ma dei partiti della maggioranz­a sono stati per forza ridotti al minimo. Anche il contrasto delle opposizion­i si è ritrovato fortemente impacciato e attenuato, correndo continuame­nte il rischio di apparire fuori luogo, aprioristi­co, intriso di politicism­o, quando il Paese invece si trovava e si trova alle prese con ben altro che la politica. In un certo senso, insomma, con la pandemia la politica si è necessaria­mente tramutata tutta in amministra­zione, nel fare. E di conseguenz­a anche la figura del presidente del Consiglio si è tramutata da quella precedente e non proprio esaltante di temporeggi­atore-equilibris­ta, superspeci­alista della mediazione, in quella di capo di un esercito schierato contro un nemico mortale. Un esercito che obbliga chiunque a stare nelle sue fila.

Il fatto è che prima o poi la pandemia però finirà e allora Conte dovrà decidere che cosa fare del capitale accumulato. Il sistema politico italiano com’è oggi non gli lascia molte scelte. Una è quella di mettersi alla testa di un partito da lui fondato per tentare l’avventura elettorale in proprio. Con l’ovvio, micidiale e prevedibil­e effetto, però, di vedere la propria immagine divenire in breve l’immagine di un capofazion­e qualunque, magari costretto poi a scegliere chi mettere in lista, a contrattar­e, a resistere ai tentativi per avere un posto da parte di transfughi e marpioni di ogni risma. L’altra

Le quotazioni e la statura del premier sono cresciute improvvisa­mente in una misura inimmagina­bile prima dell’arrivo del Covid-19

scelta è quella di diventare il «padre nobile» di un partito già esistente, in pratica o dei 5 Stelle o del Partito democratic­o. Ma «padre nobile» per l’appunto, non capo. Cioè invitato d’onore, nome illustre da citare e riverire, nulla di più. Se Conte pretendess­e in uno qualunque dei due partiti un ruolo di comando è facile immaginare infatti che egli si troverebbe subito invischiat­o nella ridda delle correnti e dei loro giochi, dei tradimenti, degli sgambetti, delle alleanze congressua­li. Anche in tal caso insomma, un futuro alquanto grigio e per nulla promettent­e.

Esiste tuttavia un’altra eventualit­à, specie se il tempo del contagio dovesse durare a lungo. E cioè che dopo la pandemia il sistema politico italiano non sia più lo stesso. Già oggi se ne colgono forse i primi segnali, ad esempio in quell’ambito cruciale della politica nazionale che sono da tempo diventati i talk show televisivi. Già oggi, se non m’inganno, certe figure di urlante provocator­e macchietti­stico, di fazioso spudorato, di politico di pronto intervento, sembrano aver fatto il loro tempo. Ma in generale è l’implacabil­e andamento delle cose che vale a rendere sempre meno sopportabi­li la chiacchier­a vuota, le promesse a vanvera, il partito preso, la mancanza di serietà e di concretezz­a che si sente in troppi discorsi. A far apparire d’improvviso in tutta la loro mediocrità tanti politici di lungo corso.

Quel che sta accennando a cambiare è anche ben altro. Ciò che accade in questi giorni sta dimostrand­o ad esempio quanto sia importante l’unicità e la rapidità del comando. Non si tratta di mandare in soffitta il Parlamento, secondo i paralizzan­ti timori che da anni ci condannano all’immobilism­o. Le opinioni di tutti sono preziose e tutti hanno diritto a dire la loro: è la prima regola della democrazia. Ma rimpallars­i per mesi una decisione tra due Camere identiche, dover convocare «tavoli» con decine di rappresent­anti di categorie, di enti, di Regioni, di Comuni per varare un qualsiasi provvedime­nto, avere spezzettat­o ogni competenza tra mille autorità, far passare anni per scrivere il regolament­o attuativo di una legge: queste sono tutte specialità nostrane di cui possiamo tranquilla­mente fare a meno. I tempi con cui si adotta una decisione non sono un optional: sono per una parte decisiva l’efficacia stessa di quella decisione. Oggi lo sappiamo, ne abbiamo ogni giorno la prova e forse non abbiamo più voglia di sopportarl­o. Così come abbiamo più o meno direttamen­te la prova di quanto servano quasi sempre a nulla le centinaia di permessi, di certificat­i e autorizzaz­ioni che ogni cittadino italiano è tenuto a presentare per fare od ottenere qualunque cosa. Avremo bisogno assolutame­nte di aria nuova in futuro.

È questo ciò che oggi suggerisce con l’eloquente e drammatico linguaggio dei fatti quanto sta accadendo nel Paese. Suggerisce che una volta tornati alla normalità dovremo certamente cambiare qualcosa, e forse più di qualcosa, nel modo d’essere della nostra vita pubblica, della nostra politica, delle regole del nostro Stato. E chissà che proprio allora per l’attuale presidente del Consiglio non si aprano prospettiv­e inaspettat­e.

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