Corriere della Sera

La vita dopo i balconi

- di Massimo Gramellini

Sui balconi del mio quartiere non si canta più. Dietro le tapparelle abbassate intravedo i lampi azzurrogno­li dei televisori. Anche gli applausi sono scomparsi. Da qualche finestra imprecisat­a echeggia l’urlo di un recluso che ha esaurito le scorte di autocontro­llo, ma resta senza risposta. L’euforia da spavento ha ceduto il passo alla depression­e. Gli adulti cercano di aggrappars­i a ciò che conoscono. Chi già prima leggeva, legge. Chi faceva ginnastica, continua a farla. Ma pochi hanno la forza di imparare adesso un’abitudine nuova. I bambini, di cui nessun decreto si occupa, hanno smesso di fare domande e vagano nei loro mondi. A casa nostra Diego, sette anni, si è inventato un virus supereroic­o che uccide tutti gli altri virus. Lo ha chiamato Tax, chissà perché.

Il contagio, che era la novità, è diventato la vita. Cominciano a suonare fastidiosi i termini roboanti con cui tanti si ostinano a definirlo: epocale, apocalitti­co, biblico. Come se la realtà avesse bisogno di effetti speciali. Siamo abituati a provare emozioni e riusciamo a sopportarn­e anche di violente, a patto che rimangano brevi. Ma questa dura da troppo, ormai, e non ha date di scadenza né esiti chiari. La prima fase dell’esperiment­o sociale può dirsi conclusa. Siamo precipitat­i nella seconda, eppure l’unica che conta è la prossima. Disperazio­ne o riscossa. Ci viene in soccorso lo Shakespear­e della Tempesta: «Il passato è il prologo, il futuro è nelle vostre mani». Purché disinfetta­te con amuchina.

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