Più controlli sui sanitari L’ipotesi di test periodici o sui contatti dei positivi
Il piano all’esame del governo e l’allerta dell’oms sulla carenza di materiale protettivo: «È una minaccia urgente alla lotta contro il Covid, se sono a rischio gli operatori lo siamo tutti» Il nodo delle quarantene e il timore di sguarnire i reparti in
ROMA Il segnale era atteso, in parte concordato. Ed è arrivato ieri pomeriggio da Ginevra. Finora il governo italiano ha seguito sempre le indicazioni dell’organizzazione mondiale della sanità. Girando poi quelle regole alle Regioni, che in realtà le applicano con molte variazioni sul tema. Poco dopo le 17 di ieri, però, l’oms ha cambiato direzione, tracciando la rotta anche per l’italia. «La carenza di materiale protettivo per gli operatori sanitari è una minaccia urgente alla lotta contro il coronavirus» ha detto il direttore generale dell’organizzazione Tedros Adhanom Ghebreyesus. E, soprattutto, ha aggiunto: «Se sono a rischio medici e infermieri, siamo tutti a rischio». Parole che aprono la strada alla proposta che da qualche ora è sul tavolo del comitato tecnico scientifico del governo italiano. E che a breve dovrebbe trasformarsi in una nuova circolare del ministero della Salute.
«Sempre i medici e gli infermieri sono stati la prima preoccupazione del ministro Roberto Speranza e di tutti noi», dice il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa, per poi aggiungere: «Restano la nostra priorità e devono esserlo per tutti».
Più tamponi per medici e infermieri, dunque. Ma cosa vuol dire in concreto?
Le ipotesi sono due. La prima, la più probabile, è prevedere dei tamponi periodici per tutto il personale sanitario, sia medici che infermieri. Resta ancora da decidere quale potrebbe essere la cadenza dei controlli, se una volta ogni dieci giorni oppure qualcosa in meno o qualcosa in più. Nella consapevolezza che una strategia del genere può aiutare anche parecchio ma non risolve tutto. Perché chi è negativo oggi può essere positivo domani e la finestra tra un controllo e l’altro per forza di cose non può essere troppo stretta. La seconda ipotesi è che in caso di medico o infermiere positivo, vengano immediatamente sottoposti a tampone tutti i colleghi della sua struttura. Sembra facile ma non lo è. Non sempre, almeno. La tutela della salute viene prima di tutto, non solo per i normali cittadini ma anche per chi lavora in ospedale. Tuttavia è vero pure che controlli più estesi rispetto a quelli di oggi, considerato l’alto numero di contagiati asintomatici e inconsapevoli, potrebbero costringere alla quarantena e all’autoisolamento molte più persone. Con il rischio di sguarnire proprio quei reparti che oggi sono in prima linea nella lotta contro l’epidemia. Un dilemma non facile da risolvere.
Anche per questo alla seconda ipotesi potrebbe essere affiancata un’altra misura che alcuni ospedali, ma non tutti, già seguono da tempo: dividere medici e infermieri in squadre fisse, o almeno più stabili possibile. Di modo che i contatti sul luogo di lavoro siano ristretti, tendenzialmente sempre tra le stesse persone. E con l’obiettivo di limitare le eventuali misure di quarantena e isolamento che dovrebbero scattare se uno di loro dovesse essere positivo.
Finora le cose sono andate come sono andate. Un contagiato su dieci è medico o infermiere. Solo tra i medici i morti hanno ormai superato quota 50. E a seconda delle zone, al di là delle indicazioni arrivate dal ministero, ognuno si è mosso per conto proprio. La Calabria ha deciso di sottoporre a tampone tutti gli operatori sanitari e le persone ricoverate mentre la Asl di Teramo, dopo i 40 medici e infermieri contagiati nell’ospedale della città, il tampone lo farà a tutto il personale della struttura. Il problema, però, non è solo quello dei tamponi. Nonostante l’accordo tra governo e sindacati che prevede l’obbligo di dotare di mascherine e guanti chi in questi giorni di blocco nazionale continua a lavorare, troppo spesso sono stati proprio loro, medici e infermieri, a non avere i dispositivi di protezione. Poi non chiamiamoli eroi.
Medici e infermieri sono stati la prima preoccupazione del ministero. Devono essere la priorità