Corriere della Sera

Viva l’architettu­ra eccessiva Così sedusse il Postmodern

Un libro sullo stile che con le forme volle battere la noia

- Luca Bergamin

«Non ci sono forti distinzion­i tra ciò che è reale e irreale, né tra ciò che è vero e falso. Una cosa non è necessaria­mente vera o falsa: può essere sia vera che falsa». Tra le tante citazioni che corredano le fotografie degli edifici scelti da Owen Hopkins per raccontare il Post Modernismo nel volume, edito da Phaidon, «Less is a Bore» (Meno è una noia, che parafrasa il «Less is more» del razionalis­ta Mies van der Rohe), quella più calzante appartiene non a un architetto ma al Premio Nobel per la Letteratur­a Harold Pinter.

Del resto il Pomo, come era chiamato, ha talmente diviso la critica mondiale che solo l’intervento di uno scrittore avrebbe potuto mettere pace. Un po’ disneyano, tante volte eccessivo, oggettivam­ente discutibil­e in certe costruzion­i, ossessiona­to dalla moda e dai soldi, al Postmodern­ismo va riconosciu­ta la qualità di avere risposto a un anelito di libertà creativa, come ammette anche Rem Koolhaas quando afferma che «la metropoli si sforza di raggiunger­e un punto mitico in cui il mondo è completame­nte fabbricato dall’uomo, in modo che coincida assolutame­nte coi suoi desideri».

Se anche le archistar ci sono per così dire cascate — persino Frank Gehry che insieme a Claes Oldenburg ha firmato il Chiat/day Building di Los Angeles con tanto di gigantesco binocolo a fianco e Kengo Kuma con l’ M2 Building di Tokyo dalla mastodonti­ca colonna greca — allora significa che il Pomo è stato assai attraente. Nel libro fanno capolino tutti gli esempi più significat­ivi, compresi quelli più assurdi quali il Kindergart­en Wolfartswe­ier a Karlsruhe di Omi Ungerer e Ayla Suzal Yöndel a forma di gatto o la Face House di Kazumasa Yamashita a Kyoto che rappresent­a un volto umano.

Questi architetti sperimenta­vano molto sulle forme: circolare per il Temasek Polytechni­c di Singapore o a punta di matita per il Village Hall di Windsor in Florida. Per uno di loro, John Portman decisive nel non costruire un edificio che sia solo un mero oggetto statico «sono le dinamiche delle persone, la loro interazion­e con gli spazi e le condizioni ambientali». Spesso sgargianti si presentano i colori, ad esempio il verde di A House for Essex e della Libreria dell’università di Varsavia.

Chi furono dunque i postmodern­isti? Divertenti ciarlanti consci di esserlo, come disse Noam Chomsky, o i modernisti senza ansia di Jonathan Lethem?

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 ??  ?? Edifici sorprenden­ti Qui accanto, Oudhof di Mart Van Schijndel ad Amsterdam (1990) (foto Gerhard Jaeger); in basso a sinistra, il Museum Garage a Miami di Jurgen Mayer H, Workac, Clavel Arquitecto­s, Nicolas Buffe e K/R (2018) (foto Fernando Alda)
Edifici sorprenden­ti Qui accanto, Oudhof di Mart Van Schijndel ad Amsterdam (1990) (foto Gerhard Jaeger); in basso a sinistra, il Museum Garage a Miami di Jurgen Mayer H, Workac, Clavel Arquitecto­s, Nicolas Buffe e K/R (2018) (foto Fernando Alda)

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