Corriere della Sera

Il rugby è il primo a decidere lo stop

Il presidente Gavazzi: «Ora conta la salute»

- Domenico Calcagno

● L’imprendito­re bresciano è stato uno dei fondatori del Calvisano

Qualcuno l’ha presa male, qualcun altro ha dibattuto sulla tempistica, qualcun altro ancora ha sottolinea­to che solo in altre due occasioni (1944 e 1945) lo scudetto non è stato assegnato. Ma è onestament­e difficile sostenere che la decisione della Federazion­e rugby di fermare l’attività e di rimandare tutto quanto alla prossima stagione sia inopportun­a. Al netto dei soldi che qualche club perderà (o risparmier­à) o di uno scudetto in più (il Rovigo, al momento dello stop, era primo in classifica).

«È stato molto difficile, è sempre molto difficile decidere una cosa del genere — spiega Alfredo Gavazzi, presidente della Federazion­e —. Ma non si vedevano le condizioni per poter riprendere l’attività in tempi ragionevol­i. La salute dei giocatori, di tutta la gente del rugby è la cosa più importante. Capisco che nessuno sia felice ma sono convinto che alla fine, fermandoci, abbiamo scelto il minore dei mali».

Il calcio, e non solo il calcio, si accapiglia da un mese sul che fare. Ha interessi economici molto più importanti da difendere. Il rugby ha preferito percorrere un’altra strada. In un consiglio federale in videoconfe­renza ha votato a maggioranz­a (un astenuto e un contrario) lo stop definitivo. E il fatto che a rugby si giochi soprattutt­o nelle regioni del Nord, le più colpite dal virus, ha sicurament­e influito.

«Fatti i conti — spiega Gavazzi —, ci siamo resi conto che per portare a termine i campionati avremmo dovuto riprendere il 18 aprile, quindi ricomincia­re ad allenarci la prossima settimana considerat­o che una quindicina di giorni sono il minimo per poter tornare in campo. Non ci saremmo stati dentro e allora abbiamo deciso di chiudere qui. Non pretendo che tutti siano felici per questa decisione, perplessit­à e amarezza sono comprensib­ili, però qual era l’alternativ­a? Aspettare ancora per essere comunque costretti a chiudere tutto tra una settimana?».

Il rugby mondiale si è fermato poco meno di un mese fa. L’italia ha giocato solo tre partite del suo Sei Nazioni che non è ancora concluso. Anche nell’emisfero Sud l’attività è sospesa e non ci sono certezze

Meta

Minozzi segna contro la Francia: nel Sei Nazioni l’italia non ha potuto giocare con Irlanda e Inghilterr­a (Epa) su cosa succederà a giugnolugl­io, il periodo delle tournée estive, e neppure in ottobre-novembre, quando il comitato del Sei Nazioni si augura di poter completare il Torneo. Tutto è sospeso e la Federazion­e italiana ha deciso di rimandare ogni ragionamen­to sul che fare a tempi migliori. «Come ne usciremo? Chi può dirlo — riprende Gavazzi —. Nessuno ha mai provato un’esperienza paragonabi­le a questa epidemia, non ci sono precedenti, non ci sono esempi. Interrompe­re l’attività creerà problemi a molte società, problemi che la Federazion­e tenterà di risolvere».

Già la prossima settimana è in programma un altro consiglio federale nel quale si parlerà di bilancio e di misure straordina­rie per sostenere i club in difficoltà. Di una cosa però Gavazzi è sicuro, questi mesi cupi non saranno la fine del rugby. «Non lo credo, quando questo incubo sarà finito torneremo con ancora più voglia e ancora più entusiasmo. Ci daremo tutti da fare provando magari a litigare di meno. È la natura dell’uomo. Ripartirà il mondo e ripartirà il rugby. Ma ora il problema non è vincere una partita in più, il problema è battere il virus e ricomincia­re a vivere. E a giocare»

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● Alfredo Gavazzi, 69 anni, è presidente della Federazion­e rugby dal 2012
Chi è ● Alfredo Gavazzi, 69 anni, è presidente della Federazion­e rugby dal 2012

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