Noi, gli Stati Uniti e la partita geopolitica cinese
Alla fine della crisi ci sarà tanto da ricostruire: anche la fiducia tra alleati
Quando tutto questo sarà finito, ci sarà tanto da ricostruire: l’economia, le strutture sanitarie, i rapporti politici e commerciali internazionali, la fiducia tra i popoli. Oggi prevale il risentimento, soprattutto nei confronti di Paesi alleati e amici dai quali ci saremmo aspettati qualcosa di più nel momento più drammatico. È arrivato ben poco, anche perché questa è una crisi planetaria che sta travolgendo gli stessi Stati Uniti.
Qui a New York, la gente ha guardato attonita per giorni i servizi dalle città martoriate della Lombardia, ha letto i nostri numeri raccapriccianti con un misto di compassione e terrore, consapevole che stava scivolando verso un destino analogo. Ora rivede le stesse scene: l’ospedale di Elmhurst in Queens sopraffatto come il Giovanni XXIII di Bergamo, i morti portati via coi camion frigoriferi, i sanitari che si ammalano, la carenza di equipaggiamenti, i caduti che aumentano anche tra i soccorritori: medici, infermieri, poliziotti. In più ci sono solo le tende dell’ospedale da campo montato in mezzo a Central Park, il giardino dei ricchi della Terra che diventa tempio della sofferenza.
Il «non dobbiamo fare come l’italia» dei giorni scorsi non risuona più: ora sono come noi. Ci ha fatto indignare, ma non era una critica: solo parole d’angoscia di chi sentiva di rivivere qui la tragedia italiana al rallentatore. Non sono mai mancati la compassione e il dolore per il Paese divenuto capofila di questa via crucis. Anche riconoscenza. Te lo dicono in tanti: «Abbiamo fatto gli stessi errori nonostante quello che ci avestupito te insegnato».
Certo, la solidarietà non pompa ossigeno nei polmoni dei malati e si può essere tentati di rispedirla al mittente, visto che viene da un Paese il cui attuale presidente ha reso l’atlantico più largo alimentando conflitti con amici e alleati e imponendo la dottrina dell’america First: è, così, evaporata la credibilità degli Stati Uniti come Paese-guida capace di pensare al bene comune in termini sovranazionali. Ma l’anomalia di un leader che esercita i poteri presidenziali seguendo una logica mercantilistica non dovrebbe mettere in discussione il legame tra Stati Uniti ed Italia che è profondo, consolidato nella storia dei due Paesi.
Ricostruire non sarà facile: oltre a falciare vite, Covid-19 sta scavando abissi economici. Bisogna evitare che diventino anche abissi politici e umani. Qui pesano le responsabilità di un trumpismo che esalta le tendenze nazionaliste e isolazioniste e spinge gli americani ad esprimere in modo ancor più radicale la loro tendenza all’individualismo e a vivere l’economia di mercato come una partita spietata.
Trump ha assestato colpi gravi alle relazioni transatlantiche tra guerre commerciali, dispute sulla Nato e attacchi alla già precaria solidarietà dell’unione Europea. E ha indebolito il sistema di garanzie sul quale si regge la democrazia americana.
Guardo con disagio le conferenze stampa della Casa Bianca: Trump accetta domande anche dure, ma poi replica con argomenti propagandistici e brutalità verbali, mentre fa impressione la deferenza dei collaboratori che lo circondano, in certi momenti quasi di sapore nordcoreano. Poi, però, la memoria va a una conferenza stampa congiunta Obama-xi Jinping di qualche anno fa quando alla garbata e protocollare domanda di un giornalista americano, il presidente cinese risposte con uno silenzio: non riusciva nemmeno a prendere in considerazione la possibilità di un contraddittorio con la stampa.
Quanto a Pechino, va sicuramente ringraziata per l’aiuto che sta dando. Ma ci sono sempre tre cose da tenere presente: 1) La Cina è la principale responsabile di questa epidemia e di altre che l’hanno preceduta. Nella fase più acuta ha avuto aiuti dall’europa: fa la cosa giusta ricambiando ora che la sua emergenza sta rientrando. 2) Anche volendo, l’america farebbe fatica a inviarci equipaggiamenti sanitari ormai prodotti prevalentemente, e a volte esclusivamente, in
Cina. 3) Il soccorso di Pechino ai Paesi in difficoltà non comincia col coronavirus: dall’africa alla Grecia, l’assistenza finanziaria e infrastrutturale cinese va avanti da anni e riguarda aree sempre più vaste. Con un piano ben preciso di espansione dell’influenza geopolitica cinese nel mondo.
Influenza
Dall’africa alla Grecia, l’aiuto finanziario e infrastrutturale è parte di un piano di Pechino