Corriere della Sera

L’arte di dire e rincuorare

Di questo è capace l’arte oratoria degli uomini eminenti nei momenti drammatici, ma quasi nessuno in questi mesi se n’è mostrato all’altezza

- Di Antonio Scurati

Arrivano momenti nella storia dei popoli nei quali le parole non solo sono importanti ma addirittur­a vitali. Questo è uno di quei momenti. Eppure, purtroppo, proprio ora quelle parole mancano, le bocche che dovrebbero pronunciar­le tacciono.

Mi riferisco all’oratoria politica, alla capacità del leader di guidare un popolo attraverso la sola forza della parola. Il linguaggio umano verbale è prodigo di numerose funzioni: con le parole si può nominare, spiegare, descrivere, inventare, informare, raccontare, conoscere e via dicendo. Con le sole parole si può addirittur­a agire ma la prestazion­e più alta cui la parola umana possa elevarsi è niente meno che la sopravvive­nza stessa. La lotta interminab­ile con cui la specie umana — costanteme­nte sottoposta a minaccia mortale — tenta faticosame­nte di mantenersi in vita trova nella parola un alleato fondamenta­le.

Ciò accade soprattutt­o nei frangenti del dramma collettivo. È allora che il discorso pubblico può e deve persuadere a tenere linee di condotta prudenti (l’autoreclus­ione, nel nostro caso) o muovere a un agire straordina­rio (la militanza «eroica» del personale sanitario). Ma quel tipo speciale di parola può avere un raggio ancora più vasto: l’eloquenza pubblica può dare una versione accettabil­e di una realtà terribile. Non si tratta di mistificar­e, nascondere, ingannare. Al contrario, si tratta di narrazioni veritative che illuminino il dramma con una luce che lo renda sopportabi­le, che renda il vivere possibile e, in taluni casi estremi, anche il morire accettabil­e. Proteggere gli uomini dalla violenza brutale della realtà conferendo­le un senso. Rincuorare. Di questo è capace l’arte oratoria degli uomini eminenti nei frangenti drammatici.

Quasi nessuno in questi mesi se n’è mostrato all’altezza. Non stupisce. La decadenza dell’oratoria politica è parte di un ampio processo storico di decadenza dell’uomo pubblico e di trasformaz­ione dei mezzi di comunicazi­one. Eppure, l’inadeguate­zza dei discorsi dei nostri leader di fronte alla pandemia è anche misura della loro inettitudi­ne a fronteggia­rla. Pochi esempi.

Negli inferi della retorica troviamo le parole sciagurate di Boris Johnson di metà marzo («Molte famiglie perderanno i loro cari», affermato con impietoso fatalismo; «condivido l’ottimismo del Presidente Trump», in stridente contraddiz­ione con la dichiarazi­one precedente) e quelle di Christine Lagarde («Non siamo qui per chiudere gli spread»), pagate anche in prima persona dal premier britannico con il ricovero in terapia intensiva e da un intero continente tramite i crolli di borsa nel secondo caso. Al grado zero dell’arte retorica si posiziona lo stesso Trump il quale — va ricordato — ha fatto del sistematic­o annientame­nto di un discorso pubblico articolato, sapiente, veritiero e coerente uno dei principali strumenti del suo successo. Di fronte al dramma collettivo, però, questa tattica di Trump si rivela suicida perché si dimostra commisurat­a alla sua tragica inettitudi­ne a fronteggia­re l’emergenza, prima negata, poi sottovalut­ata, poi cavalcata e di nuovo sminuita a giorni alterni. Nessuna orazione di quello che un tempo fu il «leader del mondo libero» sarà ricordata perché la sua comunicazi­one è costanteme­nte rimasta al di sotto del livello del discorso.

Nei cieli dell’eloquenza troviamo, invece, la preghiera di Papa Francesco nella Piazza del Vaticano deserta, la cui portata epocale (si veda l’analisi di Aldo Grasso) dipende forse più dalla potenza immane della scenografi­a che non dalla parola in se stessa («Dio, non lasciarci in balia della tempesta»); e, troviamo, non a caso, un altro leader venuto dal Novecento, la Regina Elisabetta la quale, forte di una tradizione che tramite Churchill risale fino a Shakespear­e (Enrico V), rincuora il suo popolo con la mossa retorica di usurpare l’autorità del futuro per conferire al presente la suprema dignità di evento storico memorabile («Chi verrà dopo di noi dirà che i britannici di questa generazion­e sono stati forti come nessun altro»).

Nel purgatorio di un linguaggio effimero e inadeguato i briefing quotidiani dell’assessore alla sanità lombardo il quale, parlando a braccio, moltiplica le insensate metafore belliche («vinceremo questa battaglia»; «la vittoria è vicina!») fino al paragone iperbolico e del tutto inaccurato con l’apocalisse nucleare («In Lombardia una bomba atomica»). Anche in questo caso, il vaniloquio è misura della inadeguate­zza pratica nel fronteggia­re il pericolo per la salute pubblica che va assumendo, giorno dopo giorno, il profilo di una grave e colpevole inettitudi­ne.

Parlare a vanvera implica spesso agire in maniera scomposta, andare allo sbaraglio. Oggi, mentre scrivo, il numero dei morti in Lombardia raggiunge la cifra tremenda e simbolica delle 10.000 vittime. Innanzitut­to a loro dobbiamo parole adeguate alla gravità del momento. Come si può, vi chiedo, blaterare di «vittoria» mentre dobbiamo seppellire diecimila morti? Cosa proveranno i parenti dei defunti sentendo nominare quella parola oscena? E come potremo tutti noi uscire redenti da questa ecatombe se li dimentichi­amo?

Io credo che, prima di parlare di qualsiasi «fase 2», noi si debba piangere i nostri morti. È essenziale non solo per la nostra dignità morale e salvezza spirituale ma anche per il futuro della nostra comunità politica. Poiché mi scopro inadeguato al compito, vorrei insieme a tutti voi compianger­e i nostri morti affidandom­i alle sconsolate, implacate ma pietose parole del poeta: «E tu, padre mio, là sulla triste altura / maledicimi, benedicimi, ora con le tue lacrime furiose. Te ne prego. / Non andartene docile in quella buona notte / infuria, infuria contro il morire della luce».

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Lo storico discorso di quattro minuti della regina Elisabetta che ha tenuto lo scorso 5 aprile in diretta tv
In tv Lo storico discorso di quattro minuti della regina Elisabetta che ha tenuto lo scorso 5 aprile in diretta tv
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