Corriere della Sera

«Sì alla nuova fase se si svuotano le terapie intensive»

Bucci: ci vuole il 50% di posti liberi

- di Alessandro Trocino

ROMA Fosse per qualche suo collega, dovremmo rinchiuder­ci in casa fino alla scoperta del vaccino.

«Se si guardasse solo all’aspetto sanitario, dovremmo stare rinchiusi in casette di cristallo con cibo e acqua. Ma il patimento che ci procurerem­mo con l’autoisolam­ento prolungato sarebbe eccessivo, come quello dei carcerati».

Enrico Bucci, docente di Biologia all’università di Philadelph­ia, ha uno sguardo lungo e capacità di soppesare.

Per riaprire bisogna tenere d’occhio il famigerato R0?

«No, perché non ci hanno messo in grado di avere un campioname­nto statistico decente. Possiamo pensare a riaprire quando avremo almeno il 50% dei posti liberi in terapia intensiva. E poi bisogna migliorare la sorveglian­za, fare screening alle categorie esposte, individuar­e i focolai con sistemi tracciamen­to».

Ci sono regioni dove i risultati dei tamponi arrivano dopo 10-15 giorni.

«Parliamo tanto della Corea, ma loro hanno 500 laboratori. Noi un centinaio. Serve un piano. Non lo devo fare io ma il governo, superando la frammentaz­ione regionale. E poi serve una comunicazi­one istituzion­ale. Basta con questi dati inutili, servono numeri spiegati, che abbiano un senso, come le previsioni del tempo. E bisogna convincere la gente dell’utilità delle misure, non solo costringer­li».

Riaprire, ma come? Per Regioni?

«Solo se si mette in piedi la sorveglian­za e si proibisce la circolazio­ne tra le Regioni».

Riapre per fasce d’età? Sì giovani, no anziani?

«Il rischio non dipende dall’età, ma dall’esposizion­e al contagio. Se un manager di 85 anni lavora da casa ha un rischio di contagio, e quindi di contagiare, molto inferiore di un giovane iperattivo».

Riaprire per immuni?

«Se avessimo un test certificat­o nazionale. Quelli che ho visto non sono validati. C’è un’attesa messianica su questo, ma non possiamo usarlo come corno portafortu­na. Se l’iss si attivasse, l’avremmo in poche settimane».

Riaprire fabbriche e uffici?«usando barriere in plexigas.

E tracciando chi entra e i suoi spostament­i».

Con un’app?

«Il cellulare è invasivo, è come un braccialet­to elettronic­o. Siamo pronti a dare i nostri dati se fedifraghi? Si può anche solo autodichia­rare».

Riaprire i parchi?

«Con il tracciamen­to sarebbero perfetti da riaprire».

I trasporti pubblici?

«Immaginand­o un distanziam­ento vero, magari con i contaperso­ne, che oltre un certo limite chiudono i tornelli».

Una vita difficile, felicità a momenti, futuro incerto.

«Il virus continuerà a circolare, non sparisce da solo. Si tratta di controllar­lo. Più investiamo nella prevenzion­e, meno impatterà sul nostro stile di vita».

Ci aspetta una anno con la mascherina?

«Usiamola solo se non possiamo rispettare le distanze. Se sei solo nel bosco è inutile. E poi c’è un riflesso sociale, spesso comunichia­mo con il volto. E rifiutiamo il burka perché è uno strumento di costrizion­e. Non voglio immaginare una società con una mascherina permanente».

 Ci vuole un sistema di tracciamen­to, poi i parchi si possono aprire

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Biologo Enrico Bucci dell’università di Philadelph­ia

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