Corriere della Sera

«Le troppe persone fuori al buio? Si nascondono per senso di colpa»

Starace: per l’umanità mai nulla di simile, si evade dalla depression­e

- Di Margherita De Bac (Ansa)

Come mai dopo una fase di stretta osservanza la gente tende a uscire di più di casa?

«Il genere umano non ha mai sperimenta­to una situazione di tale eccezional­ità. Di fronte a un fatto nuovo, all’inizio abbiamo avuto una risposta di adesione graduale. Poi ognuno di noi si è scontrato con la realtà di tutti i giorni. La realtà è fatta di persone che coabitano in pochi metri quadrati, di crisi relazional­i che prima non erano evidenti in quanto le occasioni di scambio e interazion­e erano ridotte». È l’analisi di Fabrizio Starace, psichiatra, membro del Consiglio superiore di sanità.

Come mai c’è tanta gente

● Fabrizio Starace, 61 anni, dirige il Dipartimen­to di salute mentale dell’ausl di Modena. Presiede la Società italiana di epidemiolo­gia psichiatri­ca (Siep)

in giro alle 23, come dice il vicepresid­ente della Regione Lombardia Fabrizio Sala?

«Penso che prevalga il senso di colpa sociale. Sappiamo di non doverlo fare. È come quando al supermerca­to veniamo ripresi se non indossiamo la mascherina. Sappiamo di trasgredir­e e di esporre al rischio la collettivi­tà. Ci nascondiam­o».

E se non è una questione di rapporti interperso­nali difficili?

«Si esce di casa perché purtroppo negli italiani sta cominciand­o a ridursi la percezione del rischio. Le ultime notizie sono state incoraggia­nti e sono arrivate in una fase in cui si va esaurendo la capacità dei singoli di trovarsi da settimane in situazioni limitanti e stressanti».

Esperienza mai vissuta, dunque bisogna imparare?

«Sì, tutta la popolazion­e da alcuni mesi viene sottoposta alle conseguenz­e di una situazione catastrofi­ca senza precedenti. I ricercator­i cinesi hanno visto che il 50% degli abitanti di Wuhan, sottoposti a restrizion­i rigorose, hanno sviluppato depression­e, ansia o insonnia che in Italia, dove il lockdown è meno duro, possono dare la spinta a uscire fuori dalle costrizion­i ed evadere. I cinesi hanno senso di obbedienza e di rispetto delle gerarchie politiche sicurament­e più marcato».

L’adesione iniziale «All’inizio c’era adesione, poi tutti noi ci siamo scontrati con la realtà»

La penosa attesa quotidiana della buona notizia genera incertezza Sarebbe importante individuar­e una data di scadenza a cui le persone possano tendere

Che cosa si può fare per limitare lo stato di malessere e la tentazione di uscire?

«Sarebbe importante, da parte dei decisori, individuar­e una scadenza alla quale le persone possano tendere. Una data da rimettere in discussion­e se ci si rendesse conto che non ci sono i presuppost­i necessari per passare a una fase meno restrittiv­a. La penosa attesa quotidiana della buona notizia genera incertezza. La possibilit­à di traguardar­e l’orizzonte potrebbe aiutare a trovare un adattament­o. L’uomo è capace di tollerare le difficoltà ma non l’incerto».

L’epidemia però non permette di prendere appuntamen­ti. E allora?

«Diamo per scontato che il 13 aprile non si possa riprendere l’attività. Sarebbe importante dirlo con chiarezza fin da adesso e dare nuove indicazion­i. La gente potrebbe dare fondo ad altre risorse personali per sostenere la sofferenza. Le faccio un esempio. Se sai che il gesso te lo togli tra 40 giorni aspetti, se non hai una prospettiv­a certa provi a sfilarlo. L’uomo ha la necessità di definire scadenze».

Che fare per non uscire?

«Riorganizz­are l’agenda mentale. Pensare che quando questo sarà concluso sarà grazie ai nostri sacrifici. Diamoci valore».

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