Corriere della Sera

«Eravamo macchine, dobbiamo essere uomini»

Don Mazzi: il futuro sarà vero se torneremo figli del mondo, vogliosi di stare insieme

- di don Antonio Mazzi

Quando finirà la quarantena e potremo vivere abbraccian­doci, bevendo una birra insieme, andando tra la folla, lo faremo come lo abbiamo sempre fatto o scatterà quel qualcosa che tutti stiamo aspettando? Quanto ci resterà del cosiddetto amore o della cosiddetta politica che avevamo vissuto prima del virus? Io, da figlio della piazza, vado come sempre per vie poco elaborate e più popolari. Mi domando: ma ieri c’era l’amore, c’era la politica, la famiglia, le pari opportunit­à, la vita comunitari­a e solidale? Se c’erano, c’erano nei fatti o erano solo dichiarate dalle formule più o meno parapoliti­che, confermate dalle immancabil­i ricerche?

Io faccio parte del popolo, odio i numeri, soprattutt­o quando i numeri valgono più delle esperienze. Io spero tanto che domani, quando apriremo le porte di casa, riusciremo a portare tra la gente le realtà che avevamo perso. Cioè che quelle quattro o cinque parole necessarie per vivere, vengano riaccese perché di loro esistevano solo le ceneri. E le parole, come uomo, donna, relazioni, politica, educazione, solidariet­à, libertà si sentano nell’aria e si vedano nei gesti. E una volta riaccese queste parole, le Banche esistano per togliere a chi ha di più e per dare a chi ha di meno, e sparisca la burocrazia. Per arrivare a questo, ciascuno di noi deve essere educato a godersi il mondo che ha dentro. Noi l’abbiamo chiamato anima, per il bisogno che abbiamo sempre avuto di tagliare a fette quello che il Creatore ha voluto unito. Perciò le mani serviranno per lavorare e per accarezzar­e, non perché abbiamo l’anima, ma perché siamo uomini. Gli occhi serviranno per leggere come per fermarsi davanti a un povero che soffre. Il corpo sarà una sinfonia di emozioni.

Ieri eravamo mezzi uomini e mezze macchine produttive, dotate di tecnologie, sempre più raffinate, ma con l’unico scopo di produrre. Il domani sarà vero se da macchine torneremo creature, figli del mondo, col sorriso, con la parola sempre appena nata dentro, contenti del necessario per vivere, ma soprattutt­o vogliosi di stare insieme. Insieme, come voce del verbo esistere. Questo virus può essere interpreta­to così? E la nostra storia può tornare semplice, autentica? Finisco, con alcuni versi di Rossana Murray, scrittrice brasiliana, che quando non lavora con bambini handicappa­ti, corre a rifugiarsi nella sua casa senza luce nella foresta: «Qui seduta, in questo inizio di secolo...tutto si sgretola: il cielo dove prima ardevano sogni, non è altro che un immenso vuoto dove i morti cercano le loro voci. Chissà se in qualche ampolla si trovi ancora un frammento di stella e il panico si plachi».

E il panico si placherà il giorno che il NOI arriverà prima del prodotto, del profitto e dei confini dettati dal peso specifico del potere.

 Ma ieri, prima del virus, c’era davvero l’amore, la politica, la famiglia, le pari opportunit­à e la vita solidale?

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