GREEN ECONOMY, SFIDA NELLA SFIDA DELLA RIPRESA
In questi giorni tra le conseguenze secondarie della pandemia si registra anche il forte calo dei consumi di energia — di elettricità e combustibili come benzina e gasolio — e di conseguenza delle emissioni di gas serra e di inquinanti vari. Si osservano, grazie alle immagini che arrivano dai social ma non solo, le differenze tra lo stato «di prima» delle nostre città e quello attuale. C’è addirittura chi vorrebbe che la marcia indietro delle attività produttive e il cambiamento degli stili di vita diventasse permanente. Una rivoluzione, si dice. Ma la questione, e la sfida vera, è invece opposta. Continuare a crescere e a produrre da una parte ma contemporaneamente preservare la salute ambientale delle città e dell’intero pianeta. Prima della pandemia e dopo di essa il problema è sempre lo stesso: disaccoppiare lo sviluppo economico e sociale dalle emissioni inquinanti e dai gas serra. Queste ultime devono scendere, e azzerarsi, anche se il primo sale. In poche settimane di lockdown il prezzo della CO2 è sceso del 50%. Quello del petrolio e del carbone del 40%. Significa che quando si tornerà a produrre — quando la fase 2 partirà nelle principali economie — sarà indifferente farlo in modo inquinante o meno. Per non cadere nella trappola della scelta tra il lavoro e il pane oggi e l’ambiente ( forse) domani, la sfida nella sfida diventa allora approfittare delle necessità attuali per fare della green economy un veicolo di ripresa. Di tecnologie, e di investimenti da attrarre (magari con condizioni di vantaggio, cosa su cui il governo potrebbe esercitarsi) e non solo di stili di vita individuali. Certo, facile a dirsi, e le condizioni politiche al contorno (un presidente Usa che non riconosce il climate change e una Cina che si presume desiderosa di riprendersi in fretta il terreno perduto) non sono favorevoli. Ma se servono idee, e se ci si vuole porre obiettivi ambiziosi, eccone uno bell’e pronto.