Trump allergico ai controllori
Ino dopo l’altro gli ispettori generali dei ministeri di Washington, i controllori dell’attività amministrativa, vengono messi alla porta o intimiditi (il watchdog della Sanità che riferisce sulle insufficienti forniture agli ospedali accusato dal presidente di essere un fabbricante di fake news a fini politici). In tempi di coronavirus la rimozione di un paio di funzionari ministeriali da parte di Trump può apparire una non-notizia. Così come pochi hanno notato che, quando il Congresso ha approvato la manoema di checks and balances, meccanismo essenziale e delicato della democrazia americana, hanno già subito talmente tanti colpi — dal capo della Federal Reserve trattato come un demente alle interferenze del presidente nell’attività giudiziaria — da far passare in secondo piano il destino di un pugno di sconosciuti burocrati. Eppure, se l’amministrazione americana è meno corrotta e clientelare di quella di altri Paesi, lo si deve a questi funzionari e alla protezione offerta dalla legge ai whistleblower. Noi non abbiamo nemmeno una parola per queste figure. Sono impiegati che suonano il fischietto, ma non sono arbitri: si limitano a denunciare eventuali atti illegali che avvengono sotto i loro occhi. Protetti dalla legge e dall’anonimato. Nel momento in cui lo Stato, vero motore della sopravvivenza e della ripresa dell’economia, spende cifre enormi (siano già al 14-15 % del Pil, ma crescerà), questi controlli dovrebbero essere rafforzati per evitare tentazioni clientelari, soprattutto in un anno di elezioni. Invece Trump sta disattivando uno dopo l’altro questi meccanismi: rappresaglie contro i whistleblower, ispettori cacciati, altri bollati come «obamiani» pur avendo servito per otto anni anche sotto la presidenza Bush. Poi, per stare sul sicuro, nomina come ispettore delle attività antipandemia Brian Miller, uno dei suoi avvocati alla Casa Bianca.
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