Corriere della Sera

«Ma il ruolo nella società resterà uguale»

- di Paolo Conti

Professor Giuseppe De Rita, lei conosce l’italia come pochi, è attivo nel campo della sociologia dagli anni ’50, ha 87 anni.

«Io non parlo da un mese. Non mi piace nulla di quello che sta succedendo. Non mi va di polemizzar­e con mezzo mondo».

Secondo la presidente della Commission­e Ue, Ursula von der Leyen «gli anziani dovrebbero rimanere in isolamento fino a gennaio». La figura dell’anziano, nel panorama sociale, cambia.

«Sa cosa accade in Olanda? Me lo ha raccontato mio figlio che vive lì. Gli over 70 hanno ricevuto un bel modulo in cui si impegnano, in caso di coronaviru­s, a non ricoverars­i in ospedale per non sottrarre posti a chi ha più possibilit­à di guarire. Il bello è che lo hanno firmato tutti».

Approccio diverso rispetto all’italia...

«La mentalità lì è meno comunitari­a, c’è una forte dimensione di autonomia, di prestigio dell’individual­ità. Quasi un esempio di coscienza pubblica: sono vecchio, se mi ammalo cerco di farcela da solo ma non tolgo spazio ai più giovani».

Qui scompare un’intera generazion­e.

«Trovo corretta l’analisi del geriatra Roberto Bernabei. Gli anziani morti avevano alle spalle, in media, almeno due o tre malattie pregresse. Gli italiani hanno assistito a tutto questo con dolore e stupore. Poi si è capito che questa malattia anticipava ciò che sarebbe accaduto magari tra un anno. Come in un terremoto: un anziano con un bypass, con uno scompenso renale non ce la fa a salvarsi.

Non voglio essere crudele ma è la verità».

Cambierà, con questo progressiv­o isolamento degli anziani, il loro ruolo nella società italiana?

«Anche qui non vorrei essere cattivo. Moltissimi anziani hanno una pensione decente, aiutano figli e nipoti, hanno case acquistate in una irripetibi­le stagione della nostra storia. Il livello di patrimonia­lizzazione immobiliar­e altissimo, che caratteriz­za il nostro Paese, è di fatto in gran parte nelle mani di quella generazion­e. Gli anziani in Italia manterrann­o un ruolo affettivo perché è anche economico».

E resta il ruolo degli anziani nella trasmissio­ne del sapere, del passato...

«Questo è cambiato da tempo. Pensiamo all’idea di conflitto, di guerra. Se racconto a un mio nipote l’atmosfera dell’occupazion­e nazista a Roma tra l’8 settembre 1943 e il 4 giugno 1944 mi guarda come un marziano. Ormai la conoscenza della storia, quindi della guerra, è delegata all’audiovisiv­o, magari alle Playstatio­n. Noi che abbiamo vissuto pagine irripetibi­li di storia non siamo più in grado di trasmetter­le come in passato. Chi ha la benedizion­e della fede può forse ancora consegnarl­a come valore. Ma tutto il resto...».

Pensa che gli anziani si adatterann­o a una nuova condizione di lungo isolamento?

«Il popolo italiano è meraviglio­samente adattativo. Gli anziani hanno già trovato una nuova condizione. Se ne stanno tranquilli in casa, rispettano le regole. Anche in Lucania nei piccoli paesi, dove il virus praticamen­te non c’è. Siamo fatti così. È anche il nostro bello».

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